Una sintesi ben distaccata | Matteo Lion

Qualcuno ha detto che siamo una generazione triste che posta foto felici.
È tutta una finta perenne.
Anche chi dice di essere “contro il mondo”, in realtà sotto sotto “vive di potere e sangue come te, gli piace uccidere, mentire, avere successo”.
Di questo cantano i Baustelle nella loro nuova canzone, Contro il mondo, che anticipa il loro nuovo lavoro in studio, “Elvis” che sarà pubblicato a ridosso della loro tournée – già tutta sold out – della prossima primavera.

La canzone è praticamente un’opera omnia della loro estetica.
Questo pezzo è come una stesura più completa e definitiva di tutte le loro precedenti canzoni.

Comincia a raccontare di una storia d’amore nata ad un festival musicale che però finisce a causa di un tradimento. E come tutti gli amanti delusi e traditi il protagonista deve ammettere che “l’amore rende ciechi se c’è e non distingui Silvia Plath da un parassita”.

Non sono mai stati sentimentali e teneri nei confronti dell’amore. Anzi.
“Perché l’amore è negativo
Perché la pace un giorno finirà
Il nostro cuore sporco e cattivo
Il vero amore ci distruggerà”, cantavano in L’amore è negativo.

Anche nella canzone Veronica N°2, sostenevano che quanto si è innamorati:
“Credi che il vuoto di colpo sia bellissimo
Neghi che tutto sia vano e tutto inutile
Neghi che tutto è una merda intollerabile
Preghi per un mondo migliore”.

La loro assoluta bravura consiste nel riuscire a scrivere queste canzoni, mascherando il cinismo con un il sentimento. Nella nuova canzone, ad esempio, al verso poco lusinghiero “ti sei spogliata dei quattro stracci da folletto freak, da punkbestia chic” fanno seguire “e ti ho baciata”.

Ma la storia d’amore tra i due protagonisti è solo il pretesto per parlare dei loro valori, del loro essere convinti di essere alternativi e contro il mondo e invece esserne fatalmente parte.

“io vivo contro il mondo invece ce l’ho addosso
vivo di potere e sangue come te
mi piace uccidere mentire aver successo
andare a bere a cazzeggiare in un caffè
mi sveglio presto la mattina
lascio stare il grande vuoto, la sinistra, scelgo se
farmi di coca o coca cola o canticchiare le canzoni estive.
Indosso il mondo e lo imito come una forma portatile di verità
per sopravvivere agisco mimetico dentro di lui
Indosso il mondo e lo venero come una sfera tascabile divinità
inossidabile vuoto del cazzo che non muore mai”.

Siamo tutti uguali quindi, ma al ribasso.
“Siamo uguali a tutti gli altri, come gli ebrei, i babilonesi in cattività”, come cantavano in una loro vecchia canzone..
E non c’è speranza di redenzione.
La catastrofe è inevitabile. Muore il Mercato per autoconsunzione. È l’estinzione”, cantavano già nel 2008 nel disco “Amen”.
Insomma i Baustelle, per il genere umano, continuano a vederla nera. Anche in prospettiva.

E invece, per quanto riguarda la loro storia, continuano a essere baciati dal successo e dal consenso.
Come ho detto il loro tour è andato sold out in poche settimane.
Per quanto ne sia davvero felice, e io stesso abbia subito comprato i biglietti, questa cosa mi ha davvero un po’ sorpreso.
Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi dopo la pubblicazione dei loro dischi solisti (che ho amato entrambi) erano andati in tour con riscontri decisamente diversi.
Ricordo che ho visto Francesco Bianconi a Sant’Agata Bolognese nella prima data del tour nel 2021 ed eravamo proprio pochini.
Ho visto anche Rachele Bastreghi a Carpi lo stesso anno, in un concerto gratuito in una piazza mezza vuota.

Perchè la formula Baustelle invece convince sempre con numeri così importanti?
Che sia merito del contributo del terzo e più defilato membro della band, Claudio Brasini? Onestamente non credo.

Forse perchè i Baustelle sanno rappresentare benissimo quella generazione troppo grande per continuare ad essere adolescenti ma sicuramente con nessuna voglia (e forse non in grado) di prendersi delle responsabilità da adulti.
Sanno raccontare con partecipazione quel senso di inadeguatezza e frustrazione.
Riescono a coprire quella frustrazione da un mare di citazioni che diventano quasi una coperta di Linus.
Nel corso degli anni hanno messo in fila una serie di capri espiatori per darci l’illusione di farla franca e di non essere mai davvero costretti a fare i conti con noi stessi e le nostre responsabilità.
Siamo pessimi. Siamo perdenti. Siamo finiti. Ma nelle loro canzoni questo fallimento è sempre da imputare ad altro.
Una volta è colpa del liberismo, una volta è colpa del mercato e delle sue spietate regole, una volta dell’orrore e il vuoto quotidiano, una volta è colpa della sceneggiatura di un telefilm poliziesco, una volta è colpa della profezia dei maya.
Non c’è nessun coinvolgimento o passione politica che porti ad avere una spinta o un ideale per cambiare le cose. No, anzi: “Non votiamo gli uomini
Non li votiamo più. Tornerà la terra follemente bella. Dopo l’estinzione della razza umana“.
Nessuna religione potrà essere di conforto o cambiare il destino: “Sono millenni che da scimmie cazzeggiamo col potere, col mito dell’avere, amori e religioni e non cambiamo mai”..
I Baustelle ci dicono chiaramente che la partita è andata, e siamo spacciati come Betty o come la ragazzina de La guerra è finita.

Ma proprio perché la fine è inevitabile non ci resta che sopportare questo peso esistenziale con l’assunzione senza sensi di colpa di droghe e farmaci (“Con la carezza dell’eroina che mi cullava” oppure “Charlie fa surf, quanta roba si fa MDMA, prendo pastiglie che contengono Paroxetina”).
E con la leggerezza indotta dalle nostre dipendenze chimiche, non ci resta che canticchiare le canzoni estive, quelle che fanno Uh-uh-uh-uh-uh.
Proprio come quelle dei Baustelle.