Iper-maniacali, appassionati e devoti | Matteo Lion

E se nel 1985 una studentessa avesse agito un cambiamento che ha dato vita a un fenomeno di cui le major discografiche cominciano a comprenderne la potenzialità solo ora?

Ricapitoliamo: a metà degli anni ’80 una sedicenne studentessa di Milano, Clizia Gurrado, scrive e riesce a far pubblicare il libro “Sposerò Simon Le Bon” in cui racconta della sua passione per il celebre cantante dei Duran Duran e del tentativo di incontrarlo quando venne in Italia per partecipare al Festival di Sanremo.
Il libro divenne un best seller.

Forse in quel momento nasce il fenomeno del Superfan, l’argomento più studiato del momento dall’industria musicale.
I superfans possono essere strategici agli occhi degli analisti del music business in questo cruciale momento in cui ogni settimana viene pubblicata una marea di nuove canzoni, aumentando in modo esponenziale l’offerta (pure a basso costo) musicale.
Ma come potremmo definirli e in cosa possono davvero fare la differenza i superfans?

I superfans sono quegli appassionati disposti a pagare di più (e spesso a scapito di altri consumi) per la musica e i prodotti del loro artista preferito.
Secondo un’indagine americana pare che il superfan spenda ogni mese l’80% in più in musica rispetto all’ascoltatore medio.
Su Spotify circa il 2% degli ascoltatori mensili (e presumibilmente superfans) movimenta il 18% degli streaming mensili. Vanno ai concerti e comprano il merchandising.
Ma non è solo una questione meramente economica.

Il loro livello di coinvolgimento è molto più alto. Non sono consumatori passivi delle opere degli altri ma producono loro stessi contenuti.
Inseriscono canzoni in playlist, pubblicano link nei loro social, aprono siti in cui si parla degli artisti, sonorizzano le stories dei social con le canzoni e i loro testi, creano eventi e raduni in presenza, creano remix o versioni mashup.

Nell’ultimo anno gran parte dei superfans grazie all’intelligenza artificiale ha fatto cantare al proprio cantante preferito qualsiasi canzone o ha prodotto duetti virtuali davvero impossibili nella realtà.
Una sorta di “democrazia semiotica” che genera visualizzazioni, solletica algoritmi, crea viralità.
Le visualizzazioni ormai sono il nuovo oro.
E se non mi credete ora lo farete quando Amadeus al prossimo Sanremo presenterà i cantanti in gara pontificando sulle loro visualizzazioni, mica sui dischi venduti.
C’è tantissima musica nuova che arriva sul mercato ma la realtà è che il 24% di tutti i brani su Spotify – indicativamente circa 37 milioni di brani – ha 0 stream.
Nessun superfan che si sia messo a fantasticare di copulare con l’artista e lo abbia fatto diventare virale, come fece Clizia Gurrado.

Negli ultimi anni le piattaforme di streaming hanno livellato il mercato con abbonamenti da 9,99€. In questo modo sia i superfans che ascoltano ore e ore di musica sia gli ascoltatori distratti che ascoltano un paio di canzoni al mese pagano la stessa cifra.
E probabilmente le case discografiche hanno realizzato che quando tutti sono super, nessuno è davvero super.
E si sono attrezzati per solleticare il bisogno di differenziarsi del superfan.
Così hanno cominciato a produrre limited edition, vinili colorati, raccolte con un singolo inedito, palchi riservati ai concerti, pre-vendite anticipate e nominali.
Fino ad arrivare alle palline di natale di Björk vendute a 30 euro l’una.
Tutte proposte “esclusive” e ovviamente più costose.

Volete un esempio esemplificativo?
La cantante Taylor Swift negli ultimi anni ha intrapreso un percorso di ri-registrazione dei suoi primi album perché, nel 2019, la casa discografica Big Machine Records (che ne aveva i diritti), è stata comprata da Scooter Braun, manager di Kanye West.
Si proprio lo stesso Kanye West che agli MTV Video Music Awards del 2009 aveva interrotto la premiazione della pop star umiliandola per dire che in realtà avrebbe dovuto vincere Beyoncé.
Nonostante i Swifties (così si sono chiamati i superfans di Taylor Swift) avessero comprato gli album originali, hanno ovviamente comprato anche la nuova versione per “salvare” e “vendicare” la propria beniamina riportando al primo posto delle classifiche queste “ristampe”.
Nella classifica dei vinili più acquistati negli USA nel 2023 Taylor Swift è al primo posto con più di un milione di copie con la ristampa di “1989”, al secondo posto con la ristampa di “Speak Now”, al terzo posto con la ristampa di “Midnights”, la quinto posto con “Folklore” e al settimo posto con “Lover”.
5 posizioni nella top ten dell’anno. Cominciate a capire la potenzialità dei superfans?
Ma non è tutto.

Lo scorso anno Taylor Swift ha battuto il record del tour con i migliori incassi di sempre: il suo Eras Tour ha guadagnato più di un miliardo di dollari.
Ma ha guadagnato anche 200 milioni di dollari con il merchandising, cifra che va ad aggiungersi al miliardo che le ha permesso di battere il record.
E questo successo è sicuramente in gran parte dovuto al zoccolo duro dei superfans che hanno visto varie date del tour come si può vedere seguendo l’hastag #SwiftTok.
Entrerete nel mondo di questi superfans che raccontano i concerti oppure spiegano come individuare autografi contraffatti e recensiscono i nuovi prodotti del merchandising.
Taylor Swift ovviamente sa che deve essere riconoscente a questi fans spendaccioni e infatti nel 2010 ha scritto la canzone Long Live in cui parla dei suoi ammiratori e dice: “Questa canzone per me è come guardare un album fotografico di tutti gli spettacoli negli stadi e di tutte le mani alzate del mio pubblico. È una specie di canzone d’amore che ho scritto per la mia squadra”.
I superfans di solito sono costanti e, oltre a spendere più degli altri, di solito rimangono fedeli negli anni.

A dicembre Renato Zero ha pubblicato Il nuovo album Autoritratto che ha debuttato al secondo posto della classifica dei dischi più venduti.
E parallelamente è già sold out la prima data del tour che partirà da Firenze.
Quanto hanno contato i Sorcini (così si chiamano i fans di Renato Zero) in questo istantaneo successo commerciale?
Una solida fan base costruita oggi, tendenzialmente resterà fedele anche domani.

Nel documentario del 2004 “Welcome to Sunny Florida” che filmava l’ultima data del tour di Tori Amos vengono intervistati alcuni fans della cantante (che lei chiama Ears With Feet, orecchie con i piedi). Una fan ammette di aver visto 125 concerti nell’ultimo tour.
Il fan che ne ha visti meno era presente “solo” a 22 show.
E posso confermare che anche al concerto di Tori Amos a Milano dell’anno scorso, dopo 20 anni, ho visto alcune di quelle stesse persone presenti nelle prime file.
La maggior parte delle quali proviene da altre parti del mondo e si conoscono bene.
Non è insolito sentire persone che si prendono mesi di ferie dal lavoro per recarsi a ogni concerto di Tori Amos in un unico tour.

I superfans contribuiscono all’identità e alla community dell’artista molto più efficacemente di un dipartimento marketing.
Perché il marketing guarda al profitto, mentre i superfans sono spinti dall’amore.
Proprio come cantavano già nel 1987 gli Smiths in Paint a Vulgar Picture.
La canzone parla di una rock star che muore. Ma l’evento è raccontato da prospettive diverse: sia dal punto di vista della casa discografica che vuole sfruttare l’onda emotiva per ristampare tutto il catalogo ma anche dal punto di vista del fan sinceramente scosso dalla scomparsa del proprio beniamino.
I fans sanno davvero fare questo miracolo, generano profitto comprando ogni ben di Dio ma parallelamente sanno anche creare una intima connessione emotiva con l’artista.
Oltre a diventarne ambassador e influencer tramite i propri social.

I Little Monsters (così vengono chiamati i fans di Lady Gaga) hanno ideato e messo in pratica un inganno collettivo, convincendo gli utenti di Twitter che se avessero pubblicato il link del video della canzone “Shallow”, avrebbero ricevuto un caffè gratis presso le caffetterie Starbucks.
Tutto ciò per far aumentare le visualizzazioni della loro beniamina.
Lady Gaga ha giustamente detto: “Ciò che creiamo non sopravvive a meno che non ci sia un pubblico che lo ricordi. E’ l’applauso successivo che mi fa sapere se ti ho intrattenuto”.
Ci ha anche scritto una canzone, Applause, per gratificare i suoi fans e il loro sostegno che dice: “Io vivo per l’applauso. Vivo per il modo in cui voi esultate e gridate per me”.
Si, certo. Tutto molto romantico ma giustamente una volta Bob Dylan disse: “A che servono i fans? Non puoi mangiare applausi a colazione”.

Diventerà quindi sempre più strategico per i musicisti individuare e comunicare con la propria nicchia e coltivare un gruppo di fans appassionati ovvero quella specifica fetta di consumatori da fidelizzare e – soprattutto – monetizzare.
Ma non sarà facile, perchè i superfans per contro si aspettano l’accesso esclusivo a contenuti speciali (quasi personali) e vogliono esperienze da “premiere fan”.
Sperando di fermarsi prima di arrivare al livello di superfan come Kathy Bates / Annie Wilkes nel film “Misery non deve morire”.
Ma c’è anche un pericolo più subdolo.

Questa comunicazione one-to-one tra artisti e fanbase andrà fatalmente a scapito di quella che un tempo si chiamava stampa e critica musicale.
Il giornalista musicale Damir Ivic si chiede giustamente in un suo recente bell’articolo: “Chi ha bisogno di una intervista o una recensione, su una testata, quando tu puoi fare tutto attraverso i tuoi social in modo più efficace in termini numerici, e controllando sempre e comunque il tipo di messaggio che viene veicolato?”.