Il suono dell’immaginazione | Matteo Lion

Chiunque sia stato adolescente negli anni ’90, avrà un gusto estetico influenzato dai videoclip diretti dal regista Michel Gondry che spopolavano su MTV.
Lo so, sembra la preistoria.
Sarebbe impossibile citarli tutti ma alcuni sono diventati iconici.
Around the World dei Daft Punk con la coreografia meccanica e circolare da catena di montaggio disco.
“Come into my world” di Kylie Minogue in cui la cantante si moltiplicava in tante copie come in una fantasia erotica ma rassicurante. Così come si moltiplicavano anche gli strumenti musicali in The Hardest Button to Button dei White Stripes.
Altra artista con cui Gondry ha collaborato lungamente è Björk per la quale ha creato, tra gli altri, gli scenari inquietanti di Army of me, i paesaggi siderali di Joga, e forse il video più bello con la corsa virtuale di Hyperballad.
Tra i video che preferisco c’è sicuramente Fire on Bablyon di Sinéad O’Connor in cui è riuscito a ricreare visivamente il senso di impotenza e di paralisi che provano i bambini abusati dagli adulti.
Ancora oggi decido se una canzone mi piace solo se nella mia testa quando la ascolto parte un videoclip immaginario e non autorizzato di Michel Gondry.

Domenica 11 Giugno il regista è stato ospite del Biografilm Festival a Bologna dove ha presentato il suo nuovo film “Le Livre des Solutions”. Si trattava della seconda proiezione mondiale, dopo la prima al Festival di Cannes. In Italia uscirà ufficialmente nelle sale a Settembre.

Il film racconta il processo creativo di un regista che segue tutte (e dico proprio tutte) le sue ispirazioni per cercare di produrre il miglior film possibile.
E quindi si tratta di un film (semi)autobiografico come ha anche ammesso il regista.
Il film è pieno di citazioni delle sue opere passate.
Per esempio nel film c’è un libro dalla pagine bianche che si scrive da solo, esattamente come succedeva nel video di Bachelorette.
C’è molta animazione che rimanda ai videoclip animati della sua prima band, gli Oui Oui.
Ad un certo punto il regista crede di voler far diventare il suo film un palindromo, ovvero formato da due piani che raccontano ognuno una storia che parte dalla fine e procede verso l’inizio in cui i due racconti coincidono. Ebbene anche questa era una sua vecchia trovata utilizzata per il video di Sugar Water delle Cibo Matto.

Ma questo film mi ha colpito perché Gondry riesce a mettere in scena il suo amore autentico per la musica.
La musica diventa l’unico linguaggio che gli permette di comunicare senza fraintendimenti, senza dire cattiverie o autocommiserarsi.
Grazie alla musica il protagonista ha la sua rivincita.
La musica rappresenta il sogno che finalmente diventa realtà (… in questo caso la “realtà” ha il corpo e la voce di Sting, ma non vi dico di più non rovinare la sorpresa).

C’è una scena davvero meravigliosa in cui il protagonista ha a disposizione un’orchestra per registrare la colonna sonora.
Ma la musica è solo nella sua testa. E lui ovviamente non è in grado né di scrivere né di leggere uno spartito.
Ma nel suo delirio onirico la musica diventa un linguaggio universale.
E quindi anche se non conosce le regole della composizione lui trova il modo di creare la propria musica.
Lo spartito viene sostituito da una serie di movimenti non standardizzati, improvvisati e maldestri.
Lui chiede all’orchestra di tradurre i suoi movimenti in musica.
Il primo strumento che riuscirà a riprodurre la musica che lui ha in testa e che cerca di mimare, diventerà lo strumento di punta della composizione.
Quindi l’orchestra, mossa dalla componente interattiva e forse anche dalla rivalità, riesce a suonare quello che c’è nella testa del regista.
La musica è davvero rappresentata come linguaggio, espressione, creatività libera e spontanea.
La cosa che mi ha colpito molto è che durante l’incontro Gondry ha dichiarato che la musica del film è nata davvero in questo modo e le scene riproducono abbastanza fedelmente cosa era successo in sala di incisione con Etienne Charry che si è occupato delle musiche.

Lo spettatore non vedrà mai il film (se non poche scene) che il protagonista sta girando.
Ma conosce la genesi e ne ha ascoltato la colonna sonora.
Quindi il film di cui si parla nella storia viene di fatto più “ascoltato” che visto facendoci comprendere – per sottrazione – quanto la colonna sonora sia essenziale in un film.
Capiamo davvero come contribuisca pienamente all’identità dell’opera, alla narrazione della storia intensificando le emozioni, stabilendone il ritmo e l’atmosfera.
Nella scena iniziale il regista mostra il primo montaggio del film ai produttori e la colonna sonora è Gnossienne n.1 in fa minore di Satie che con la sua melodia ci fa immaginare un film dal procedere lento e dal tono malinconico. Esattamente il contrario di quello che capiterà dopo.
Giocando con la musica Gondry ci porta dentro ad un gioco di specchi dove niente è davvero come appare.