All the lonely people | Alberto Guizzardi

Glasgow primi anni 80: Margaret Thatcher sta attuando la sua rivoluzione neoliberista sull’economia britannica, fatta di privatizzazioni ed eliminazione dell’assistenzialismo statale.
I sussidi sono considerati un incentivo per evitare di trovare lavoro e l’equazione vincente diventa: non dire “dammi qualcosa” ma fallo da te.
Glasgow è città industriale e mineraria, ben diversa dalla vicina Edimburgo dei castelli e delle cornamuse, e i suoi minatori negli anni successivi saranno tra le categorie più penalizzate dallo pseudo new deal thatcheriana.

In questo contesto di deriva sociale, Douglas Stuart, autore scozzese alla sua prima opera letteraria, inserisce nel romanzo “Shuggie Bain” la deriva sia fisica che mentale di Agnes, scaraventata e poi abbandonata dal marito Shug nel sobborgo minerario di Pithead.
Agnes aveva lasciato il primo marito, troppo devoto e quindi noioso, in quanto si sentiva soffocata dalla routine, dalla mancanza di emozioni, dal non sentirsi viva.
Di lui le sono rimasti i figli Chaterine e Leek, ormai adulti e indipendenti, mentre dal secondo marito ha avuto Shuggie, sette anni, sognatore, fragile, troppo diverso dagli altri per essere accettato.
Il bambino ha come unica amica Dhafne, una bambola di pezza che si porta sempre dietro e per questo sarà pesantemente bullizzato dagli altri bambini di Pithead.

Il sobborgo è un microcosmo dove le nuove entità sono respinte: con suoi look ricercati, i capelli sempre in ordine, le unghie laccate, Agnes è l’opposto delle sue vicine di casa ed essendo rimasta senza marito, troppo pericolosa per le mogli impegnate a sfornare figli, accudirli in attesa che i loro uomini rientrino dalla miniera.
La polvere del carbone si abbatte su queste esistenze, si infiltra nei vestiti, si attacca ai capelli con la sensazione di voler inghiottire le persone come le montagne di torba che fanno da sfondo.

Le giornate diventano per madre e figlio una continua lotta per non sprofondare; Agnes si rifugia nell’alcool mentre Shuggie cerca qualunque espediente per evitare i bulli e quindi cambiare strada quando li vede, saltare la scuola, cercare di sparire come un ramarro al sole.
Sarà spesso lui a salvare la mamma nei momenti difficili, a difenderla quando viene derisa, a scusarsi per lei quando l’alcool la fa trascendere, diventando il collante per evitare il naufragio definitivo.

Il romanzo è quanto di meglio si possa leggere in questo momento.
La narrazione non è mai al servizio di una tesi, non crea escamotage per arrivare a chissà quale rivelazione; vuole invece raccontare le unicità di due persone respinte anche da chi è a sua volta respinto.
Shuggie, pur nella sua tenera età, capisce che il bizzarro duo madre/figlio è imprescindibile per la sopravvivenza di entrambi; intuisce che per lui gli ostacoli in futuro saranno ancora maggiori rispetto alla madre, ma è ancora giovane e riesce a vedere il mondo con un disincanto quasi beffardo.

Ogni capitolo ha una struttura compiuta la cui somma ricorda una partitura musicale e forse questo motivo durante la lettura mi è tornato più volte in mente il ritornello della canzone “Eleanor Rigby” dei Beatles:
“All the lonely people
Where do they all come from?
All the lonely people
Where do they all belong? “

Alberto Guizzardi