Polli di allevamento | Alberto Guizzardi

Cari cari polli di allevamento
Coi vostri stivaletti gialli e le vostre canzoni
Cari cari polli di allevamento
Nutriti a colpi di musica e di rivoluzioni

Il mese scorso ho avuto un senso di spaesamento nei confronti della distorsione che i media hanno fatto delle ultime notizie.
Il tutto è culminato in un post in cui esternavo il mio forte disagio di fronte a una manipolazione spesso ideologica delle informazioni e alla totale mancanza di un pensiero che andasse almeno un minimo sotto la superficie dei fatti.
Ammetto che quel testo mancasse lui stesso di contenuto, di un controcanto rispetto a quello che vedevo e sentivo.

Cari cari polli di allevamento
Che inventate come le palline i percorsi più strani
Che se qualcuno vedesse dall’alto
Le sponde dove state rimbalzando
Penserebbe che serve solo a questo
La superficie del mondo dlin dlan
Dlin dlan dlin dlan

Poi improvvisamente ho scoperto Gaber, prima nel bel film “ Io, noi e Gaber” di Riccardo Milani e poi andando a recuperare i suoi spettacoli di teatro canzone facilmente disponibili sulle piattaforme musicali.
Il suo percorso artistico è alquanto rappresentativo, segnato da un successo iniziale nella televisione degli anni 60 per poi abbandonarla a favore del teatro, luogo dove il proprio pensiero poteva liberarsi senza vincoli censori della tv di quegli anni.

Gaber è stato un fustigatore dei luoghi comuni, amato e odiato alternativamente, probabilmente perché non classificabile.
Lo spettacolo che lo porterà a un punto di rottura definitivo è “Polli di allevamento” nel 1978, anno horribils della nostra repubblica, traumatizzata da violente lotte sociali, terrorismo e crisi economica.

Cari cari polli di allevamento
Che odiate ormai per frustrazione e non per scelta

L’ alterego Signor G osserva gli uomini incapaci di essere individui ma pronti a fare branco; esseri non pensanti che vivono come palline in un flipper, senza una propria direzione che si lasciano trasportare dai flutti del pensiero dominante.
L’invettiva finale intitolata “Quando è moda è moda” racchiude lo sfogo finale di chi non si riconosce nel o di qua o di là.
In quell’invettiva finale mi sono riconosciuto; era quel passaggio che mi mancava, quello di chi non riesce a essere bianco o nero e che a rischio di essere emarginato dice quello che pensa.

In questa vostra vita sbatacchiata
Che sembra una coda di lucertola tagliata
Per riflesso involontario vi agitate continuate ad urlare
Finché non scoppia il cuore il cuore il cuore il cuore

Ho una foto dei primi anni 70 di me bambino vestito da Zorro.
Dietro il teatro cittadino con enormi cartelloni di uno dei tanti spettacoli di Gaber.
Mi piace pensare che era segnato nel destino incontrarlo, prima o poi.

Alberto Guizzardi