Virgil | Claudia Vanti

Impossibile sfuggire all’argomento del momento, la morte di Virgil Abloh probabilmente non è stata improvvisa per chi gli era vicino ma per il resto del mondo si è trattato del classico fulmine a ciel sereno.
“Il resto del mondo”: è troppo presumere che si tratti di una notizia che abbia potuto interessare, appunto, il resto del mondo? O è la solita esagerazione autoreferenziale di un mondo che si percepisce come il centro di un universo che si occupa prevalentemente di tutto tranne che dei vestiti?

No, perché Abloh, che ci piacesse o meno ha cambiato il modo di progettare la moda e i suoi contenuti in modo probabilmente irreversibile e molto al di là di un’influenza passeggera sulla forma di una t-shirt o sulle fortune di un logo.
È stata una figura che ha intercettato i desideri dei millenials e della gen Z regalando loro un’identità estetica che semplicemente diceva “ok, andate bene così (più o meno, of course), il vostro background, la vostra musica, il vostro stile di vita (quello che vorreste avere) va bene e d’ora in poi sarà il più desiderabile senza che nessuno vi rimproveri perché non è abbastanza elegante, innovativo, creativo o intellettualmente gratificante. E voi siete un modello da imitare.

Solo esteticamente, ovviamente, il potere rimane in altre mani, ça va sans dire.
Il potere, un certo tipo di potere mediatico e culturale all’ombra dell’industria del lusso, Abloh per un po’ l’ha raggiunto, ed è stato il primo nero ad arrivarci, nella moda, le cui capitali tradizionali fino a pochi anni fa erano quasi esclusivamente bianche e occidentali.
Ora, non si tornerà più indietro, e per fortuna.

Chi come me è “generazione X” non capisce, o si deve applicare molto, per capire: è normale, in fondo rimpiangiamo l’arbitrarietà creativa del designer visionario che una volta ci apriva una finestra su una divagazione di un romanticismo perfetto e crudele e un’altra ci sprofondava in uno scenario post-industriale e futuribile; ora ci proponeva il decorativismo estremo e l’accumulazione e ora un minimalismo siderale e algido.

Un altro mondo, lontanissimo dal catalogo di capi dichiaratamente derivativi ma riprogettati e rivisti, scelti proprio perché già apprezzati, di Abloh.
Un dj, poi, neppure uno stilista.
Per questo i commenti affranti di tanti che si susseguono da domenica sera mi suonano un po’ fastidiosi: bisogna essere veramente misurati per scrivere in modo sincero  la verità più lampante, e cioè che non si dovrebbe morire a 41 anni.
Per nessun motivo.

Grazie Virgil, anche di averci fatto arrabbiare e discutere.

Claudia Vanti