Piccoli Jules Verne | Claudia Vanti

Siamo nel pieno delle sfilate uomo, Pitti è appena terminato e quindi si sono chiuse anche le presentazioni della maggior parte delle collezioni Resort 2024.
Questo significa che, salvo eccezioni dell’ultimo minuto, sono terminate anche le trasferte in ogni parte del pianeta per questo World Tour di sfilate per la stampa che sembra sempre di più un aggiornamento di guide turistiche per viaggiatori di lusso.

Anticipate dalla pre-fall manswer di Louis Vuitton sotto le piramidi di Giza abbiamo poi visto Dior a Mexico City, Gucci a Seul, Chanel a Los Angeles, Saint Laurent a Berlino e Louis Vuitton, questa volta donna, sull’Isola Bella del Lago Maggiore.
Trasportare backstage, responsabili di collezione, sarte, dipendenti dei brand a vario titolo, compresi quelli del commerciale perché metti mai si debba ritoccare un listino all’ultimo minuto, modelle/modelli, vestiaristi, attrezzisti, vestiti e accessori e ovviamente ospitare giornalisti e buyer in arrivo da svariate parti del mondo ha un costo pesante, economico e non solo.
Non è ovviamente la scelta più sostenibile che si possa fare in quanto a spreco di risorse e danni ambientali collaterali.

Per compensarla toccherà investire nella ricerca di un materiale riciclato più o meno bizzarro o modificare il packaging del make-up.
Ma in fondo, soprattutto quando c’è da conquistare un nuovo mercato come l’Egitto o il Messico, paesi non propriamente in cima alla lista di chi si distingue per l’attenzione ai temi ambientali, il problema è residuale.

Però c’è lo stress mentale, la scarsa sostenibilità psicologica per gli addetti che devono saltare di qua e di là per inseguire gli eventi: è già faticoso farlo in versione digitale dallo schermo del proprio device, figuriamoci fisicamente: tutto molto bello, l’ambientazione esotica, il viaggio pagato, l’albergo di lusso… però alla fine è lavoro e, a una certa, il fuso orario si fa sentire.

Quanto potrà ancora durare il gioco All around the world?
All’appello ad oggi mancano soprattutto l’Africa e l’Australia, mercati potenzialmente interessanti sì, ma piccolino – quello australiano – e molto frammentato quello africano. Senza contare il gap stagionale, perché è vero che non ci sono più le mezze stagioni e forse neppure le stagioni, però un’inversione di sei mesi rispetto al calendario nord occidentale non è semplice da gestire.

In attesa di altre improbabili destinazioni io comunque – viva la contraddizione! – sono grata al mio nerd preferito, Nicolas Ghesquière, di averci mostrato negli anni ambientazioni strumentali al marketing, ovvio, ma architettonicamente molto soddisfacenti:
La Bob Hope House di John Lautner a Palm Springs, il Museo Niteroi di Oscar Niemeyer a Rio de Janeiro, il Museo Miho di I. M. Pei fuori Kyoto, il Salk Institute progettato da Louis Kahn a La Jolla, la Fondazione Maeght a St. Paul-de-Vence, lo storico TWA Flight Center di Eero Saarinen (1962) che sembra un UFO atterrato al JFK airport, la Dongdaemun Design Plaza di Zaha Hadid a Seoul, lo sculpture park di Axe Majeur, appena fuori Parigi concepito dall’artista israeliano Dani Karavan  .
Anche quando è quasi dietro l’angolo (di Parigi) sembra di stare su Marte: continua pure a sprecare con giudizio Nicolas, ti voglio bene.

Claudia Vanti