
Pochi giorni fa mi è capitato di rileggere per caso un mio vecchio articolo scritto, forse immeritatamente per una testata nazionale, sul fenomeno allora deflagrante delle it girls virtuali.
Ben sette anni fa, un tempo biblico se calcolato in dimensione digitale, mentre le influencer in carne e ossa avevano già saturato la comunicazione social con il loro self branding pervasivo e totalizzante, le ragazze digitali (più rari i ragazzi e le identità fluide) erano paradossalmente qualcosa di nuovo e interessante da seguire.
Il paradigma era, ed è in parte anche oggi, lo stesso delle personalità che a volte passano dallo status di “celebrity presso me stessa” alle poche migliaia di follower sufficienti a garantire una visibilità utile al product placement, ma in un certo senso ne erano la versione ideale: ragazze cool in situazioni quotidiane o eccezionali, glamour, ma sempre a loro agio e ad alto tasso di positività.
Brave ragazze sempre dalla parte giusta, ottime testimonial tanto di prodotti che di istanze civili, fashioniste impegnate e di buoni sentimenti malgrado qualche dissidio caratteriale tra almeno un paio di loro (Miquela e Bermuda, nello specifico): la polarizzazione del dissing, anche se fittizio, paga.
Oggi però sono marginalizzate, non se ne parla molto e i loro account proseguono un po’ stancamente senza avere mai realmente sfondato.
Lil Miquela, la prima e la più famosa, ha sì 2.300.000 follower su Instagram, ma si tratta sempre di briciole di fronte ai 354 milioni di un’imprenscindibile (ebbene sì) Kim Kardashian e perfino ai 28 di una Chiara Ferragni in disarmo.
Le altre creaturine digitali, Shudu, Imma, Bermuda, Noonoori, si fermano a numeri tra i 200/400.000 contatti, e l’esperimento italiano Nefele, un manifest(in)o di inclusività e bellezza (im)perfetta, non è mai decollato arenandosi a 3.000 follower.
C’è una morale in tutto ciò?
No, è improbabile, sicuramente nessun elogio della realtà sul virtuale, anche perché la realtà del mondo influencing è piuttosto aleatoria, per non dire inesistente.
Forse la conclusione è che la novità tecnologica, nella sua precisione, stanca più velocemente, Miquela non sarebbe mai crollata su un pandoro e magari questo crea distacco e disaffezione veloce.
Ma ancora la preferisco, e tutte queste ragazze immaginarie mi mancano un po’.
CLAUDIA VANTI
Stilista eclettica, ha collaborato per anni con marchi del pret à porter italiano e internazionale come Ferré, Chanel, Hugo Boss.
Insegna Design del Prodotto moda, ha la passione del disegno e il sogno segreto di scrivere la sceneggiatura di una serie tv. Ovviamente sulla moda.