
Un vecchio proverbio recita: “Un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte.”
Nella copertina di “Crying The Neck”, il primo disco di Patrick Wolf dopo 13 lunghi anni, quel pretesto non è più un seme, ma un campo di grano rigoglioso, pronto per essere mietuto.
Patrick stesso è al centro della scena, falce in mano, immerso in una natura che quasi lo sovrasta: un’immagine potente, simbolica, spirituale.
La falce, strumento per recidere e dividere il buono dallo scarto.
Il raccolto, simbolo di compimento e ricompensa dopo fatiche immani.
È la metafora perfetta per descrivere gli ultimi 13 anni di Patrick Wolf, trascorsi lontano dai riflettori della musica.
Anni segnati da dipendenze da alcol, problemi economici, la gestione della malattia e la successiva scomparsa della madre, e un grave infortunio stradale proprio qui, in Italia.
Per riprendersi da questi duri colpi, Patrick si è rifugiato nell’East Kent, il “Giardino d’Inghilterra”, una zona nota per la sua natura rigogliosa e le sue radici profondamente legate al folklore celtico.
È in questo contesto suggestivo che “Crying The Neck” è stato scritto, arrangiato e registrato.
Il disco è stato anticipato da alcuni singoli.
Il primo, Limbo, un duetto con Zola Jesus, è un’onesta e cruda ammissione di rinascita, un desiderio di uscire finalmente dal limbo di sei anni di dipendenza dall’alcol.
Inizialmente, la canzone mi aveva lasciato perplesso, l’avevo trovata quasi troppo “pop”, con un vago sentore alla Coldplay che non mi convinceva del tutto.
Ma poi è arrivata Hymn of The Haar, e lì ho ritrovato le aperture melodiche, gli arrangiamenti d’archi e quella profondità tipica di Patrick Wolf che tanto amo.
Il testo contrappone la bellezza di un paesaggio naturale all’amara ingiustizia di un corpo di un migrante trovato morto sulla spiaggia: una canzone che mescola profonda tristezza e una flebile ma incrollabile speranza.
Jupiter, scritta durante la sua quinta estate da sobrio, chiude con una frase che è quasi un manifesto: “La guarigione inizia con l’ammissione, ho sentito dire. Quindi poco prima del mattino. Tutto chiaro.“
Un’altra perla è Last of England che Patrick Wolf ha definito il suo inno nazionale personale, la sua indagine sul senso di perdita dell’identità che ha osservato in Inghilterra dopo il voto referendario sulla Brexit nel 2016.
Ha precisato: “Volevo scrivere una ballata per questo nuovo capitolo del paese, in segno di compassione per l’isola della Gran Bretagna, ora di nuovo così piccola e disorientata, che si chiede chi e cosa sia ancora. In origine doveva essere una canzone esplosiva e doveva essere un pezzo da ballare, ma all’ultimo minuto ho eliminato tutto il ritmo per creare questo inno folkloristico, giustamente tetro, per l’Inghilterra“.
A giugno, Patrick Wolf è tornato in Italia per presentare il suo nuovo lavoro, e io ho avuto il privilegio di vederlo al Locomotiv Club di Bologna.
La sua sobrietà è arrivata in scena in modo plateale: una bellissima teiera, da cui ha sorseggiato numerose tazze fumanti di tè durante il concerto.
Più magro, più provato rispetto al passato, ma la sua esibizione è stata un vero e proprio spettacolo teatrale.
Ogni canzone interpretata non solo con la voce, ma con una fisicità più ossuta e espressioni dolenti che raccontavano anni di lotta.
Tra tastiere, chitarra, violino e una specie di arpa, il concerto ha creato un’atmosfera unica, magica e arcana.
Melodie struggenti e vocalità fuori dal tempo hanno evocato l’incanto della natura e la forza dei sentimenti.
Patrick ha indossato costumi celtici, tuniche e pantaloni bombati medievali, amplificando l’aura di un bardo d’altri tempi.
Durante il concerto oltre ai brani del nuovo disco, ci sono stati i suoi successi del passato – come The Magic Position o The City – quando era uno dei nuovi nomi che arrivavano dall’Inghilterra a cui si prestava maggiore attenzione.
Proprio con Amy Winehouse, per la quale ha aperto tanti concerti.
Un momento inatteso ha interrotto la magia: uno spettatore, visibilmente alterato, ha iniziato a importunare le ragazze.
Patrick, da ex alcolista, ha riconosciuto la potenziale escalation.
Con incredibile calma e fermezza, ha interrotto il concerto e ha chiesto all’uomo di allontanarsi.
La sua preoccupazione successiva, chiedere alle ragazze se si sentissero a loro agio, è stata un gesto di pura umanità.
Anche questo fuori programma, in fondo, è una metafora del nuovo Patrick Wolf.
La vita è un’eco: ciò che invii, torna indietro.
Ciò che semini, lo raccogli. Ciò che dai, lo ottieni. Ciò che vedi negli altri, esiste in te.
E Patrick Wolf, con la sua musica e la sua presenza, sta ora raccogliendo i frutti della sua rinascita.

MATTEO LION
Ha lavorato per anni come account per varie agenzie di comunicazione.
Dal 2010 si occupa di selezione del personale ed è Team Leader in progetti di inserimento di lavoratori con disabilità.
La musica è la sua passione, con una lente attenta alle nuove sonorità.