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STAY WOKE | MATTEO LION

Quando ero giovane la parola wok evocava solo cibo etnico come riso al curry o pollo alle mandorle in agrodolce.
Oggi, nel 2025, basta aggiungere una “e” e diventa “woke”, un termine che divide il mondo come una guerra civile culturale.
Sei dentro o sei contro: non sembra esistere una via di mezzo.
E guai ad ammettere di non avere le idee chiarissime sul suo significato preciso.

Ma tutti ne parlano.
La scorsa settimana, Donald Trump ha dichiarato nel suo discorso al Congresso: “Basta con l’ideologia woke” (che però, tradotto in azioni, significa ostacolare iniziative per la diversità e l’inclusione).
Nel frattempo, Jane Fonda, ritirando un premio, ha ribattuto: “Woke significa semplicemente che ti importa delle altre persone”. Facile, no?
Eppure il termine è ormai una parola d’ordine politica usata da destra e sinistra per combattersi.
Ma cosa significa davvero “woke”?

Secondo l’Oxford English Dictionary, in origine significava “ben informato, aggiornato”. Oggi indica “attenzione alla discriminazione e all’ingiustizia razziale o sociale”.
L’Urban Dictionary lo definisce: “essere consapevoli… sapere cosa sta succedendo nella comunità in relazione al razzismo e all’ingiustizia sociale”.
Insomma, niente di male.
E allora perché il termine infastidisce tanto certi politici?
La risposta è semplice: “woke” è diventato un bersaglio retorico per la destra, usato per bollare qualsiasi cosa ritenuta troppo liberale o progressista.

Ma io in questo spazio parlo di musica.
Il significato più autentico della definizione “woke” affonda le sue radici proprio nella musica, e qui entriamo nel vivo della questione.
L’espressione “stay woke” appare per la prima volta nel 1938 grazie a Lead Belly, leggendario cantante folk e blues, che la inserisce nel testo di The Scottsboro Boys, una canzone che racconta una vicenda di razzismo giudiziario nell’Alabama degli anni ’30.
Nel 1931 a bordo di un treno nel nord dell’Alabama scoppiò una rissa e il treno venne fermato vicino alla città di Scottsboro.
Nove giovani uomini neri, il più giovane dei quali aveva 13 anni, furono arrestati.
A bordo del treno c’erano anche viaggiatori bianchi tra cui due giovani donne che temendo di essere accusate di prostituzione, accusarono ingiustamente i ragazzi neri di averle violentate.
Per il resto degli anni ’30, gli Scottsboro Boys (come presto divennero definiti da chiunque) furono al centro delle polemiche.
Difesi dal celebre Samuel Leibowitz – un avvocato ebreo di New York – i giovani furono tutti rilasciati.
La canzone di Lead Belly suggeriva: “Meglio stare svegli – stay woke – e tenere gli occhi aperti” e voleva essere un monito a non abbassare la guardia.

Negli anni 2000 il movimento Black Lives Matter ha usato l’espressione per ribadire la necessità di essere consapevoli dei pericoli che la comunità black affrontano regolarmente e per rendere le persone consapevoli delle ingiustizie causate dalla brutalità della polizia e dall’abuso di potere.

Nel 2008 la cantante Erykah Badu nel suo album del 2008, “New Amerykah Part One (4th World War)”, lancia una canzone che ha un grosso impatto: Master Teacher Medley.
Nel ritornello riporta in auge proprio l’espressione “stay woke” come invito a non abbassare la testa di fronte alle ingiustizie e la rende mainstream.
La cantante ha anche usato la frase qualche anno dopo in un tweet di supporto al collettivo femminista Pussy Riot dopo il loro arrestato in Russia con l’accusa di “teppismo” in seguito a una delle loro proteste anti-Putin.
Quel tweet di Erykah Badu ha definitivamente reso virale l’espressione “stay woke”.

Il cantante Childish Gambino nel testo della sua canzone Redbone esplora temi legati all’infedeltà, la paranoia e la complessità delle relazioni.
L’enorme successo del pezzo – che ha debuttato al primo posto della classifica R&B e ha vinto un Grammy – ha però contribuito a trasformare quel “stay woke” cantato nel ritornello in un grido di consapevolezza e in un simbolo culturale.

Oggi “woke” è una parola che divide.
La sinistra la usa con orgoglio, la destra come insulto.
E la musica non è immune da questa battaglia.

Il cantante Nick Cave durante un’intervista ha offerto una riflessione interessante: “Il concetto che ci sono dei problemi nel mondo ai quali dobbiamo rivolgerci, come la giustizia sociale, questo mi va benissimo. Ma non concordo con i metodi che vengono usati per raggiungere questo obiettivo, spegnere e cancellare le persone. C’è una mancanza di pietà, una carenza di perdono. Questo va contro quello che io credo fondamentalmente a un livello spirituale. Quindi è una cosa complicata. Il problema con il giusto prendere piede di questa parola, woke, è che ha reso la discussione impossibile da avere senza dover unirsi a un carico di testematte che hanno i loro problemi con essa”.

Questione di misura, dice lui. E forse ha ragione.

Noel Gallagher, invece, non le manda a dire.
Parlando del Festival di Glastonbury, si è lamentato: “Sta diventando un po’ troppo woke, ci sono troppe prediche, troppa esibizione delle proprie virtù morali. Piccoli idioti del cazzo che sventolano bandiere e fanno dichiarazioni politiche, band che salgono sul palco e dicono: “Ehi ragazzi, non è terribile la guerra? Facciamo tutti insieme boo alla guerra” oppure “Fanculo i conservatori” e cose del genere. Ma suona le tue cazzo di canzoni e basta. Tutti sanno quel che sta accadendo nel mondo, in tasca hai un telefono che te lo dice».

Ma Noel può stare sereno: la musica mainstream si allontana sempre più dalla consapevolezza civile, preferendo l’illusione di “Cuoricini” e “Abracadabra”.
Con buona pace di Donald Trump.
“Woke” è nato nella musica, ha attraversato la politica ed è tornato nella musica.
Ma se una parola può dividere così tanto, forse il problema non è la parola in sé, ma chi la usa e perché.
La musica, come sempre, è il vero termometro del cambiamento culturale.

E mentre il dibattito continua, forse è il caso di restare svegli. O meglio, “woke”.

Crediti foto >>

MATTEO LION
Ha lavorato per anni come account per varie agenzie di comunicazione.

Dal 2010 si occupa di selezione del personale ed è Team Leader in progetti di inserimento di lavoratori con disabilità.

La musica è la sua passione, con una lente attenta alle nuove sonorità.

Altra musica | Matteo Lion

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Quella sottile sensazione di inadeguatezza, di mancanza. La ricerca delle risposte e il piacere dimenticato delle domande. Accogliere la complessità è un passo verso la consapevolezza del contemporaneo. Non siamo esseri semplici, dobbiamo assorbire e rigenerare. Siamo sempre stati arte e oggi dobbiamo saper vivere con una sensibilità aumentata.

METABOX – sensibilità aumentata è un’installazione di arte contemporanea online, dal 2010

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