Nonostante siamo ancora a novembre è già stata stilata da Mojo, popolare rivista mensile britannica di musica, la prima classifica dei migliori album del 2024.
Alla posizione n°20 troviamo il secondo disco di Lady Blackbird, “Slang Spirituals”, che ho l’impressione troveremo in molte altre classifiche di fine anno.
Anche io sono un fan della prima ora di Lady Blackbird e quindi non sono voluto mancare al concerto di domenica 17 novembre al Locomotiv Club di Bologna, all’interno del ricco cartellone del Bologna Jazz Festival.
Dietro al nome Lady Blackbird si cela Marley Munroe, americana quasi quarantenne cresciuta nel New Mexico, che ha iniziato la sua carriera già a dodici anni quando è stata scelta da una piccola casa discografica specializzata in musica cristiana.
Il nickname Lady Blackbird è un omaggio alla canzone “Blackbird” di Nina Simon, cover con cui apre sempre i suoi concerti ed era presente nel suo primo disco.
La canzone ha il sapore della rivincita – dopo anni di gavetta e lavoro come corista – quando canta di fronte al suo pubblico adorante i versi “perché vuoi volare Blackbird? Non volerai mai”.
Sarà un caso che il primo singolo del nuovo disco sia stato proprio “Reborn” che parla della sua rinascita come artista e dice: “Non ho bisogno dei tuoi soldi / Non ho bisogno del tuo tempo / Non ho bisogno della tua libertà / Perché ho la mia”.
Un concerto di Lady Blackbird è in effetti un inno alla libertà.
Libertà che comunica con i suoi look quasi circensi e molto generosi nei decoltè, con i suoi shottini da bere sul palco, con le sue fragorose risate, con i suoi discorsi senza filtri sulle docce del mattino.
Questa libertà è assorbita anche dal pubblico.
Ieri sera in prima fila uno spettatore stava facendo una diretta instagram e lei, mentre cantava, si è abbassata per entrare nell’inquadratura e salutare i follower da casa.
Ma il concerto è davvero trascinante.
Certo, ha una voce che incanta. Precisa e potente.
Certo, alle spalle ha una band rodata di musicisti di altissimo livello (tra cui il tastierista Kenneth Crouch che a guardarlo suonare è quasi un concerto nel concerto).
Ma non è solo quello.
Jim Morrison, ha detto “ogni forma d’arte è essenzialmente energia intercettata“.
Il grosso potere del concerto è che Lady Blackbird sa essere la vera regina del palco ma con “umile energia”, non so se mi spiego.
Si avverte la sua gratitudine per il – meritato – e tardivo successo.
È evidente il suo sincero amore per il pubblico e ogni palco per lei è davvero un punto di arrivo.
Credo abbia stretto le mani di tutto il pubblico delle prime file, ma si vedeva che avrebbe voluto toccare e abbracciare tutti (guardate questo video dal minuto 3:20).
Ed è vero quello che si dice: l’umiltà arriva dritta al cuore, senza le frivole curve della superbia. L’umiltà è regalità senza corona.
Visto che ogni recensione deve dire anche puntualizzare – per tradizione – qualcosa di negativo posso dire che forse mi sono mancate delle coriste.
Sia per ricreare i bellissimi cori presenti in molte canzoni del nuovo disco ma anche in segno di continuità con la sua storia professionale.
Il chitarrista (nonché produttore e direttore musicale) Chris Seefried ci prova a fare dei cori, ma l’effetto – se posso – non è all’altezza del disco.
La canzone “Let Not (Your Heart Be Troubled)” viene molto depotenziata senza il controcanto del coro gospel.
Per contro è stato un peccato non sfruttare al massimo la potenza trascinante della band togliendo dalla scaletta il mio pezzo preferito del nuovo disco, ovvero la cover “When The Game Is Played On You“, incisa nel 1974 da Bettye Swann.
La canzone dura 7 minuti ed è quasi un viaggio strumentale psichedelico. Ma, prima o poi, spero di poterla sentirla live.
Il nuovo disco è inevitabilmente un pò più ruffiano, cerca la conferma e infatti in “If I Told You” imbocca e dice: “Se ti dicessi che ti amo ancora, lo diresti anche tu?”. Risposta scontata: certo che ‘te se ama, Lady.
Ma va benissimo se essere ruffiano significa cercare di accontentare tutti, passando dalle atmosfere stile Motown di “The city“, fino ad arrivare al pop agrodolce di “Man on a boat“.
Presentato il disco infatti aveva detto: “Questa sono io, piena di libertà, accettazione e senza ipocrisia.
È anche qualcosa in cui penso che molte persone possano identificarsi: quella ricerca umana per trovare te stesso e riprendere il tuo potere, per arrivare al luogo in cui irradia chi sei senza scuse”
MATTEO LION
Ha lavorato per anni come account per varie agenzie di comunicazione.
Dal 2010 si occupa di selezione del personale ed è Team Leader in progetti di inserimento di lavoratori con disabilità.
La musica è la sua passione, con una lente attenta alle nuove sonorità.