Un’isola in un mare di incomprensione | Matteo Lion

Il disco che ho ascoltato di più nell’ultimo mese è stato decisamente “Shabrang” di Sevdaliza.
La cantante è nata a Tehran, in Iran. Quando aveva 5 anni i genitori sono emigrati come rifugiati politici in Olanda. Qui la ragazza si integra e diventa titolare della nazionale olandese di basket.
Ma qualcosa sottopelle bolle e trova nella composizione musicale la sua modalità di espressione.
Ho chiesto al mio amico persiano il significato del titolo e mi ha scritto: “quando dici che una cosa è shabrang vuole dire che brilla anche nel buio della notte”.

Gli iraniani hanno così tanta cultura e storia. Persepoli fu costruita da operai pagati, non da schiavi. Dovrebbero appunto risplendere di luce propria.
Invece l’Iran ci appare un paese di gente stremata dalla crisi economica, soffocata dall’inquinamento, minacciata dal fanatismo di chi usa la religione per terrorizzare il popolo.
Questo disco brilla nella notte di questi tempi balordi che stiamo vivendo, anche in europa, pieni di inutili divisioni etniche e culturali.
“Mi sento privilegiata eppure incompresa. Una concorrente sfavorita”, ha detto Sevdaliza.

Un vecchio proverbio dice. “Quando arriva un’onda troppo grossa, abbassa la testa e lasciala passare”. Questo disco cupo e oscuro suona proprio come quei 3 minuti di apnea in cui ti chiedi se andrà davvero tutto bene.

Il disco si apre con “Joanna” che lei definisce “la storia universale di un amore non corrisposto. È un riflesso della sofferenza insopportabile che striscia nelle nostre vite in forme diverse. Joanna è il tipo di amore che ha amato profondamente e ha perso tutto. Il tipo di amore che non muore. Il tipo di amore che è nascosto in un luogo segreto, affamato e ferito.”
E la donna che canta è davvero distrutta perchè vuole l’attenzione del suo amante ma si rende conto che questo grido di attenzione proviene da un posto negativo dentro a se stessa.
È una canzone dolorosa sulla fatica del respingere l’energia dell’oscurità dei nostri demoni e delle nostre paure.

Anche visivamente il lavoro di Sevdaliza è estremamente potente.
Il video di “Habibi” si apre con l’inquietante scena di lei che spara ad un cane in un bosco (tranquilli. nessuno animale è stato maltrattato durante le riprese). Il video riprende il senso della canzone che racconta della sensazione di sentirsi incompresi. E il cane, che è il simbolo dell’amore leale e incondizionato, deve essere soppresso perché non ci capisce abbastanza.

La canzone che preferisco è “Human Nature” è sostenuta da essenziali beat ultraterreni, archi delicati e qualche accenno di piano. La sua voce, con un autotune pesante, diventa un mantra che sembra appartenere allo spiritualismo o alla stregoneria che ci convince di quanto sia in realtà onesto essere egoisti. L’egoismo è l’unico movente delle azioni umane. Una dose di egoismo è necessaria per la sopravvivenza. E quando lo si capisce la parte difficile è contenerla. E quindi rieccoci sull’orlo della nostra parte più oscura. E infatti nel presentare il pezzo la cantante ha detto: “Human Nature” è sincronizzata con l’eclissi, ciò che è nascosto nelle profondità del nostro essere, sarà portato alla luce.”

Altro testo meraviglioso nella sua semplicità è “Darkest Hour“. L’ora più buia è quella appena prima dell’alba. Quel momento in bilico tra il buio e la luce, tra il ieri e il domani, tra l’aspettativa dei sogni e il rigore della realtà. Abbiamo solo una vita ed è una vita di inesperienza, non possiamo sapere se le decisioni che stiamo prendendo sono buone o meno. Ma possiamo prenderle solo una volta. Imparare questa lezione ci rende libera l’essere e ci concede una leggerezza impareggiabile. E quindi nel pezzo canta: “sono la ragazza perfetta. il mondo è perfetto”.

Ma in realtà il disco è pieno di domande sull’identità. “Oh mio Dio, chi dovrei essere? Cosa vuoi quando vieni per me?” si chiede ossessivamente in “Oh my God“. (se siete voyeuristi nel video della canzone potete vedere i video amatoriali della cantante da piccola).
Oppure, “Chi decide cosa siamo Quando tutto ciò che abbiamo è noi stessi” canta in “Lamp Lady“.

Insomma Sevdaliza è una sorta di FKA Twigs meno glamour, una sorta di Arca che racconta però storie più universali.
Suona come se i Massive Attack venissero addolciti dalla femminilità di Tori Amos (ditemi se l’attacco al piano di “Gole Bi Goldoon” non potrebbe essere in “Night of Hunters” della Amos?).
È un nuovo trip hop? È una nuova strada per la musica psichedelica? È musica ambient? È un R&B alternativo?
Credo che per venire a capo di questo arcano dovremmo aspettare di vederla live, anche se per ora non è previsto tour.

Matteo Lion

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