Una staffetta con Fiona | Matteo Lion

La musica (e la sua promozione) è ormai legata ai social.
Artisti iper presenti, costantemente fotografati e seguiti.
La registrazione di un disco spesso diventa un set per Instagram.
Che sensazione mi provoca da tutto questo circo?
Una totale sfiducia nella realtà. Tutto mi sembra perdere di naturalezza. Alcuni artisti (anche alcuni che ho adorato) nei loro social assomigliano sempre più a una parodia. TiKTok ha solo radicalizzato il linguaggio.

Ecco perchè quando vengono pubblicati dischi come “Fetch the Bolt Cutters” di Fiona Apple bisogna esserne grati.
La foto di copertina è un suo ritratto che sembra uno scatto fatto per errore con il telefonino quando parte la camera dalla parte sbagliata.
Per lanciare il disco ha pubblicato un video in cui con la lingua dei segni mima “M-Y-R-E-C-O-R-D-I-S-D-O-N-E”, ovvero ”Il mio album è pronto”.
Diretto e semplice. Tutto senza fronzoli.

Come i suoi testi.
“Il male è uno sport a staffetta in cui colui che è stato bruciato si gira e ti passa la torcia” canta in “Relay“.

E con questo disco lo fa; si gira e ti passa degli argomenti bollenti con cui devi fare i conti.
L’amore è raccontato con una crudezza tale che lo rende un sentimento così onesto.
“Quando ti ho incontrato stavo bene con il mio niente. Io e te saremo come una coppia di cosmonauti tranne che con molta più gravità rispetto all’inizio.”
“so che nulla di tutto ciò avrà importanza a lungo termine ma mentre sono in questo corpo voglio qualcuno che mi desideri e mi ami”
Non sono forse queste delle oneste dichiarazioni che suonano molto più credibili del ti amerò finché morte non ci separi?

A colpire del disco è proprio questo tono di assoluta onestà e libertà. Si può dire tutto e lo si può dire tranquillamente.
Sembra una chiacchierata con una vecchia amica dopo una colossale sbronza quando l’alcol con le sue proprietà rilassanti, dissociative, euforiche, analgesiche contribuisce ad allentare l’ossessività e la penosità dei pensieri su alcune questioni.
Come altro spiegare un verso come: “Bene! Buongiorno! Mi hai violentato nello stesso letto in cui è nata tua figlia. Buongiorno! Come sai, dovresti saperlo, ma non lo sai.”

È un disco di una donna arrabbiata, ferita, disillusa ma che decisamente non vuole essere una vittima.
Suona come il disco di una donna che è pronta a tornare nello stesso posto dove è stata ferita, ma alle sue condizioni.
Una donna che ora ha la forza per giocare ad armi pari. Ora Fiona sa guardare negli occhi sia i bulli della scuola tanto quanto il suo stupratore.
Questo disco non vive della retorica di Instagram.
Vive della sincerità della sua vita che ora porta avanti con decisione.
Se il cane abbaia mentre si sta registrando una canzone… beh va solo citato nei credits. (….e lo sentirete spesso)
Perché questo disco così intimo è stato proprio registrato a casa sua a Venice, in California.
E si avverte quel senso di familiarità domestica quasi disturbante. Come entrare a casa di qualcuno dopo che ha cucinato il cavolo.
Lo fanno tutti, solo che di solito non si dice. Tanto meno nei social.
Casa è dove conosci gli spazi abbastanza bene da riuscire a orientarsi anche al buio. Non funziona poi molto diversamente dentro a Fiona Apple. Lei conosce bene quegli angoli bui, quelle ombre scure della sua anima e ci passa attraverso orientandosi toccandone gli spigoli.
“Il fondo comincia a sembrare l’unico luogo sicuro che conosci” canta in “Heavy Balloon”:

Una donna che ne ha passate tante e ci restituisce la consapevolezza che una delle poche cose affidabili nella vita è il dolore, il dubbio e l’incertezza.

Anche musicalmente le sue canzoni sono spregiudicate, quasi naive. Si muovono su ritmiche nervose e allo stesso tempo hanno un’intensità d’interpretazione a volte folk, a tratti quasi da improvvisazione jazz e in alcuni momenti addirittura cabarettistiche, spesso nella stessa canzone.

Insomma, è sicuramente un ottimo disco che mi sento di consigliarvi.
Ma sono solo l’ultimo che lo riconosce dopo che Pitchfork le ha attribuito il massimo dei voti.
Ma vi assicuro che per me la melodia al piano di “I Want You to Love Me“, la canzone che apre il disco, è una delle cose per cui ha avuto un senso vivere.

Matteo Lion