To be or not to be stylish

Ingenuamente (o meglio: deliberatamente) ho sempre pensato che la stragrande maggioranza degli scrittori, degli artisti o, in generale, degli intellettuali americani fosse riconducibile all’area “democrat”.                                            

Poi mi sono imbattuta in Joan Didion.

Non mi ricordo se ho visto prima la ad campaign di Céline che la ritraeva, o se qualcuno mi ha parlato dei suoi libri, però c’ero rimasta un po’ male a scoprire che negli anni ’60 aveva dato un sostegno abbastanza attivo ai candidati repubblicani. L’arrivo di Reagan le ha fatto rivedere alcune posizioni, ma insomma, inizialmente questo mi sembrava un tratto dissonante nella biografia di un’autrice che ha raccontato soprattutto gli anni ’60 e ‘70.

Ed è una scrittrice straordinaria, enigmatica e sfuggente (narratrice, giornalista, sceneggiatrice e saggista), lirica e pragmatica nel rivendicare i suoi lavori scritti su commissione per magazines popolari. Anche Vogue, agli inizi. Una scrittura, la sua, sempre in bilico fra fiction e non fiction, nella quale il vissuto personale ha un grande spazio, in flusso di coscienza che riporta situazioni e incontri (numerosissimi, praticamente con tutti i nomi più noti di diverse decadi).

Proprio ora è appena stato ripubblicato The White Album, presso Il Saggiatore (n.b. dopo aver letto Anatra all’arancia meccanica di Wu Ming Il Saggiatore per me sarà sempre e comunque ”Il Sarchiapone”, giusto per rimanere nel tema delle letture meritorie, ma questa è un’altra storia…).

Ma Didion al momento sconta un pregiudizio “più grave” di quello sulla sua passata “repubblicanità”, essendo apparsa nelle foto pubblicitarie di un fashion brand, effimero per definizione, per quanto meravigliosamente concepito e sommamente elegante: Céline.

E no, in generale, critici (letterari, non critici a prescindere) e commentatori non l’hanno presa benissimo.

Ignari dell’attuale leitmotiv “old is the new black”, alcuni hanno scritto che queste foto comunicano un’immagine svilita (chissà perché) se non grottesca dell’ottantenne scrittrice, che non è corretto che un’intellettuale sia “utilzzata per vendere vestiti costosi” e che in questo modo il marchio sfrutta l’immagine di Didion per legittimare la propria creatività artistica. Tanti retropensieri.

In una campagna precedente di Céline la modella Daria Werbowy era ritratta come la stessa Didion sulla copertina originale di Where I was from, suggerendo una precedente lettura da parte di Phoebe Philo, creatve director del brand.

Joan Didion, intervistata sulla sua presenza in foto pubbliciatarie ha commentato semplicemente che “conosceva la griffe, che aveva comprato alcuni capi in una boutique sulla Madison e che le piacevano molto”.

Incroci e corrispondenze, tutto qua.

Claudia Vanti