Someone who inspires me

Quelli che parlano o vivono di moda ultimamente hanno parlato e pensato spesso a Raf Simons.
Il suo quasi “gran rifiuto” (“ciao Dior, sai che c’è?, me ne vado”) potrebbe addirittura far pensare che ci sia qualcosa che non va, che una volta arrivati alla vetta della maison più maison di tutte (piano, c’è Chanel, in mani salde) si potrebbe scoprire che:
è noioso
è limitante
è costrittivo e anche un po’ distruttivo, quindi: non ne vale la pena.

Il dubbio che i luxury brands debbano rivedere alcune strategie serpeggia, il problema è che nessuno sa ovviamente in che modo, almeno per ora.

Raf Simons intanto apparentemente è tornato a fare quello che faceva prima e molto bene, cioè la collezione uomo a suo nome, e a margine della sfilata “Nightmares and Dreams” ha diffuso una cartella stampa che riportava di seguito le ispirazioni:
Angelo Badalamenti
David Lynch
Martin Margiela
Cindy Sherman
Detroit
Tulsa
Twin Peaks…

(NdR. si capisce abbastanza bene che A) Twin Peaks gli è piaciuto B) che aspetta con ansia la reprise della serie nel 2017, e quindi è uno di noi, uno che con gli amici parla di tv series americane).

Ma soprattutto ha fatto una cosa bellissima, ha citato Martin Margiela, che ora si è ritirato, sì, ma per molti anni è stato un collega, un collega con il quale si sono divisi spazi e orari di presentazioni, scatti nei redazionali dei magazines e capi appesi nei negozi.

Come sarebbe tutto più semplice, se si dichiarassero tranquillamente le proprie ispirazioni, che sono varie e comprendono necessariamente anche il lavoro di qualche collega.
Nessuno vive con gli occhi bendati (a parte le bende metaforiche, ma quello è un altro discorso), e ciò che si vede si stratifica, ci accompagna e ritorna, a volte, in forma diversa, divenuta propria.

E invece no, dichiarare le proprie affinità e preferenze sembra un segno di debolezza, salvo che poi in alcuni casi “l’ispirazione” è palese, al limite della copia.
Molto più facile citare nomi storici, mostri sacrissimi (Saint Laurent, Balenciaga. Balenciaga, Saint Laurent), così si sta nella comoda sfera dell’omaggio in cui tutto è concesso.

Tempo fa, in una delle periodiche review sulle collezioni, su Vogue.com ci si chiedeva come mai la maggioranza dei designer italiani degli anni ’00-’10 fosse così ossessionata da Balenciaga  da citarlo in continuazione, e, d’accordo, è stato un maestro, ma ha lavorato in un’epoca profondamente diversa, e i suoi volumi e le sue linee avevano un senso maggiore quando si viveva e ci si muoveva in un modo che oggi è impensabile. Va bene l’omaggio, e l’ispirazione, possibilmente filtratissima dalla contemporaneità, ma poi si deve andare oltre.
E se in quel “oltre” c’è anche qualcosa di non storicizzato dai musei sempre più aperti alle retrospettive sui creatori di moda, qualcosa di più recente, va bene lo stesso, se si ha un po’ di cultura per rielaborare gli input e la sicurezza in sé per riconoscerlo.

Claudia Vanti