Ricordi in costruzione | Andrea Ferrato

L’hashtag è stato il simbolo a cui abbiamo aggrappato la necessità di una qualche certezza.
Un carattere visto dalla maggior parte delle persone come l’ennesimo escamotage dei tamburi pubblicitari è improvvisamente diventato importante come il chiodo nella roccia per uno scalatore su una ripida parete.
È diventato il supporto per esorcizzare le nostre paure, per blindare l’idea che, in un modo o nell’altro, tutto sarebbe tornato come prima, per incentivare comportamenti a cui non avremmo mai pensato di doverci adeguare.

L’online è diventato l’unico spazio frequentabile anche per chi lo guardava fino a poche settimane fa come qualcosa di innaturale, invasivo, eccessivo.
Il contesto inaspettato è diventato la cartina tornasole che ha mostrato chi lo ha tradotto come ennesimo strumento e chi lo ha assimilato come ambiente ed espansione della nostra quotidianità, l’onlife per usare il neologismo coniato da Luciano Floridi.

In un primo momento abbiamo avuto tutti bisogno di spostare l’attenzione dal dramma in corso e per tutti è stata necessaria quella dose di intrattenimento che molti hanno iniziato a produrre.
Ma alcuni sono andati oltre e con tutta la leggerezza possibile e necessaria hanno approfondito il momento cercando un confronto che tenesse in vita quella reattività indispensabile per vivere qualcosa di mai vissuto e per abituarsi a qualcosa che assomiglierà a quello che pensiamo come normalità.

È stata, e lo è ancora, un bella boccata di ossigeno Carosello is back di Paolo Iabichino e Giovanni Boccia Artieri dove il tema della pubblicità è diventato metafora del momento.
Il podcast Domani allarga gli orizzonti e stabilizza l’ago della nostra bussola per ripensare a come orientarci in questo nuovo che riporta in superficie un buon senso da troppo tempo appannato.
Un esperimento di etnografia domestica collettiva, come lo chiama Kilowatt, ha prodotto un questionario con domande che si insinuano nel nostro stato d’animo alla ricerca di un’immagine, di questo momento, fatta di sensazioni e percezioni.

Nell’ultimo questionario c’era una domanda:
“Cosa ti manca o cosa credi ti mancherà di più del periodo a casa? Cosa ricorderai con più nostalgia?”
Questa domanda mi ha messo di fronte ad una sensazione che ancora non riesco a decifrare e che continuo a pensare come segnalibro tra pagine che dovrò obbligatoriamente rileggere.
Il mio ricordo non è di qualcosa in casa ma a quei duecento metri da casa, accanto o sopra quelle strade deserte, dove non passava nessuno, strade che potevi attraversare senza la necessità di controllare.
Il loro vuoto era denso di un’angoscia impalpabile eppure di questo vuoto ho sentito la nostalgia prima ancora che le strade tornassero a riempirsi, pensando di rivederle come le avevo sempre immaginate, non come le avrei riviste.

Andrea Ferrato