Racconti immaginati

La passione per la fotografia me la passò una persona che ora non c’è più.
Un fondamentalista Nikon che mi trasmise l’attrazione per le precisissime reflex meccaniche degli anni ’70.
Stiamo parlando di oltre venti anni fa, di diapositive, di pellicole Fuji 50D, di attese trepidanti per le scatolette con dentro le foto sviluppate, di serate a far surriscaldare il proiettore, di eliminazioni senza pietà di orizzonti minimamente inclinati.

Non mi ha mai interessato troppo la tecnica e per il superamento di questo primo ostacolo non ringrazierò mai abbastanza il manuale di Swedlund.
Una volta conosciute le caratteristiche e fatte mie le regole base il mio scopo non era quello di scattare la foto perfetta ma il provare a trasmettere l’emozione e lo stato d’animo di quell’istante; cose per le quali avevo già utilizzato la pittura e la parola.

La trasmissione del pensiero, inteso appunto come stato d’animo, è sempre stato un mio chiodo fisso; il passaggio da un media all’altro era deciso dalle qualità del media nel riuscire a raggiungere una maggiore comprensibilità, con una maggiore immediatezza temporale.
Da quel momento ad oggi è stata una corsa veloce a colpi di pixel e di prezzi sempre più accessibili per riuscire ad avere uno strumento con una qualità sufficiente che potesse far ricordare solo con affetto le vecchie pellicole.

Alla tecnologia e all’accessibilità va aggiunto un’altro fattore che è l’immediatezza.
A meno che non lo facciate per professione difficilmente avrete sempre con voi una macchina fotografica.
Lo smartphone con una fotocamera di qualità ha colmato questa mancanza; nonostante la smorfia dei puristi la fotografia è comunque prima di tutto uno sguardo e un racconto.

Oggi la discussione è accesa in merito alla “mania” di fotografare ogni cosa.
Alla fine poi è sempre la solita diatriba che torna tutte le volte che scatta un fenomeno di massa e non ci si sofferma mai a pensare che sperimentare il nuovo è una forma di crescita ma si teorizza subito su come il nuovo andrebbe praticato (basandosi ovviamente su esperienze che non lo comprendevano).

Oggi Instagram è comunque un immenso racconto che raccoglie lo scorrere di tante quotidianità.
Ognuno racconta la propria storia, non è necessario “ascoltarle” tutte ne tanto meno è necessario “ascoltare” quelle che non ci interessano.
Viceversa sono tutte importanti perché riflettono un vissuto; il tempo e l’uso migliora la narrazione riuscendo a trasmettere un pensiero che passa attraverso le regole non scritte degli sguardi: quello di chi scatta e quello di chi guarda.

Andrea Ferrato