Partenza con brio | Claudia Vanti

Un inizio d’anno per niente sottotono, mondo moda vivace, denso di fatti, fatterelli e polemichette, come nei migliori momenti clou.
E quindi ci scappa l’elenco, ma si sa, gli elenchi piacciono (dal manuale per il clickbait del corsivista in affanno).

Omaggio: il 29 dicembre se ne è andata Vivienne Westwood, icona indiscussa e rivoluzionaria dai tempi del punk – che non aveva inventato, come spesso si sente, ma intelligentemente cavalcato, mettendoci del suo – genio (genia?) per creatività e senso del contemporaneo.
Non poco, infine. Il senso del contemporaneo lo aveva una creatrice la cui lezione più importante è stata quella di ricordare quanto sia importante studiare, l’arte e la storia del costume: i suoi corsetti derivati da Watteau e reinterpretati in mille declinazioni sono stati una dichiarazione di identità culturale e una dichiarazione di indipendenza estetica femminile, oltre i pregiudizi e i moralismi di ogni provenienza.
La sua estetica negli ultimi anni si era abbastanza cristallizzata, forse anche in modo un po’ stanco e al limite del cliché, ma l’impegno ambientale di Dame Vivienne richiedeva tempo, energia e dedizione totalizzanti, e perciò va bene così.

Un altro omaggio: in coda alla settimana della Haute Couture ha sfilato l’autunno-inverno 2023 di Alaïa, oggi disegnata da Pieter Mulier, stilista belga per anni dietro le quinte/a fianco di Raf Simons (nel docu-film Dior and I lo si vede mettere pace fra modelliste, sarte e dirigenti dopo i passaggi più urticanti di Simons).
La nuova collezione Alaïa è una lezione anch’essa, mostra come si possa raccogliere l’eredità di un gigante, introiettarne le coordinate estetiche, renderle proprie e autonome e riuscire a essere fedele al marchio in modo molto personale.
Bravo (ma lo sapevamo già).

Finito il toto nomi per Gucci: era ora.
Ed era anche scontato che i nomi fossero senza senso, visto che la proprietà Kering ha sempre investito su assistenti, responsabili di collezione ma non direttori artistici già noti al pubblico.
Ed è abbastanza ovvio, ci si può lavorare a medio termine e creare aspettativa senza i condizionamenti di personalità già molto conosciute.
Sabato De Sarno (auguri!) arriva da Valentino: la vedo un po’ Restaurazione ma tant’è.

Polemichetta: poteva mancare? No.
I peluche (leone, pantera, lupo) sugli abiti di Schiaparelli  li hanno visti tutti, e tutti hanno purtroppo dello la loro.
Che Daniel Roseberry abbia spiegato il riferimento dantesco è servito poco, non si può andare contro l‘interpretazione di chiunque abbia voluto esprimere il proprio “disappunto” per l’esibizione di “trofei di caccia” (trofei?) che invitano a massacrare gli animali, e come sempre, il “tribunale dell’Internet” è insindacabile.
Speriamo che i giurati non vedano dei film horror se no li prendono come un invito a imbracciare delle asce, e allora ahia.

Polemichetta che non ‘è stata (per fortuna): durante la (meravigliosa) sfilata della collezione creata da Haider Ackermann per Jean Paul Gaultier si è sentita una versione molto intensa di Baraye, la canzone simbolo della protesta in Iran, unica traccia sonora della sfilata, per il resto svoltasi nel totale silenzio. Incredibilmente nessuna accusa di strumentalizzazione.
Il pubblico che ha seguito su Youtube ha apprezzato il significato e la sobrietà dell’inserimento, il resto dell’Internet non se ne è accorto.
Meglio così.

Per finire menzione speciale per la collezione “sotto sopra” di Viktor & Rolf: Stranger Things, e non solo a Hawkins (Indiana).

Claudia Vanti