Parliamone cantando | Matteo Lion

Se c’è una cosa che mi piace ancora di più rispetto all’ascoltare musica, probabilmente è parlare di musica. Parlarne con gli amici con i quali la musica diventa pretesto per raccontarsi.
Ed è inevitabile parlare anche di sé, perché come diceva Frank Zappa: “Parlare di musica è come ballare di architettura”.
Avete presente Rob il protagonista sociopatico del libro “Alta fedeltà” di Nick Hornby? Avete presente le interminabili discussioni con i fidati amici Dick e Barry in cui partivano parlando di una canzone e arrivavano a filosofeggiare sulle loro misere vite, fare bilanci e risolvere difficoltà?
Ecco, io adoro quel tipo di comunicazione.

Nel suo ultimo disco Bjork ha scritto un pezzo proprio su un caro amico con il quale si scambia canzoni: “ci mandiamo mp3 a vicenda, ci innamoriamo di una canzone”, “all’interno di queste melodie è forse dove stiamo destinati a stare”, canta in “Blissing Me“.
La musica è cibo per le nostre energie creative e senza di essa non saremmo capaci di re-inventarci giorno dopo giorno?
Oppure come vampiri usiamo le canzoni scritte da altri per sostenere l’illusione di avere qualcosa da dirci?
Non lo so, francamente.
Ma so che la musica stuzzica la nostra immaginazione. Solo dopo aver ascoltato, imparato, tradotto, cantato, pianto riusciamo a immaginarci diversi. E troviamo il coraggio di dirci (a vicenda, mica solo a se stessi) come vorremmo essere o dove vorremmo andare. Ma solo se lo siamo già stati o ci siamo già andati con una canzone. Le canzoni rendono, in qualche modo, reali (o quanto meno possibili) i sogni.

E non dimentichiamo che, come cantava Madonna, “la musica unisce la borghesia e i ribelli, è come esser trascinati da vento senza mai andar via”.
Volete un esempio? Ecco una chat whatsapp con il mio amico Angelo.

Angelo: “sono ad Amsterdam e ho appena visto il concerto di Adrianne Lenker.  Non mi pare di ricordare fosse nella tua classifica di fine anno eppure mi pare molto MatteoLion.
io: che amore!
Angelo: io o lei?
io: tu, che mi trasformi in un aggettivo.
Angelo: È arrivata come avesse appena finito il turno in fattoria, con i capelli sporchi e senza un dente. Adorabile. E oggi alla mostra del cinema di Rotterdam ho visto un film con Bjork che avrà avuto 20 anni. Inquietante.
io: La giovinezza è sempre inquietante. Non te lo ricordi più? Invece a me lascia stranito il nuovo disco di Sharon van Etten.
Angelo: Che coincidenza , lo sto ascoltando in questo momento. Ho anche guardato il telefono perché pensavo che Spotify mi avesse messo un’altra artista. In compenso Nada meravigliosa. Sempre più quello che voglio diventare.
io: Spiegati meglio!
Angelo: Nada avanza con gli anni ma non invecchia mai. E’ sempre contemporanea, sempre in linea con le cose che accadono. Non canta canzoni d’amore insulse per una donna di 60 anni ma parla della forza della natura, di rapporti ancestrali. E’ quello che cerco (e spero) di essere e rimanere io: nessun ricordo al passato, nessuna speranza (vacua) per il futuro ma un’ancora fissata al presente.
io: pensa che io adesso sono in fissa con il nuovo disco di Jessica Pratt. Mi piace proprio perché è un disco così spudoratamente attaccato al passato. Suoni e arrangiamenti retrò, cantato da una voce da bambina-lolita dissoluta nella sua mancanza di futuro e prospettiva.
Angelo: Ma infatti io e te siamo diversi.
io: tu ascoltala e se ti garba, il 5 Aprile la vieni a sentire al Covo a Bologna.
Angelo: il 5 Aprile c’è il concerto dei Low, ma il 6 vengo a Bologna per Apparat
io: Apparat non è proprio “il mio”, ma ci sarò perché accompagno un mio caro amico.
Angelo: Ma a Bologna vengo anche in marzo per Nada e Edda.

Matteo Lion