O l’arte o la vita | Alberto Guizzardi

Cristian, curatore di un museo d’arte contemporanea a Stoccolma, ha appena acquisito grazie a una donazione un’ opera d’arte chiamata “The Square”, che non è altro che un perimetro a forma di quadrato dentro il quale una targa ricorda che “Il quadrato è un santuario di altruismo e fiducia. Al suo interno tutti dividiamo gli stessi diritti e doveri”.

La sua vita, fatta di una routine molto distaccata dalla vita reale, e molto lontana dai principi ispirativi dell’opera, deraglia quando gli viene rubato in maniera rocambolesca il telefono cellulare.
Il tentativo di recuperarlo lo metterà di fronte a situazioni che gestirà in maniera sempre più maldestra, precipitandolo in un gorgo di disastri senza fine.
A domino, il lancio della nuova opera sarà macchiata da disorganizzazione e da eventi deprecabili che metteranno a rischio la sua credibilità.

L’intento del regista Ruben Östlund , Palma d’Oro a Cannes per questo film, è decisamente ambizioso: con il sottofondo del mondo dell’arte contemporanea, per paradigma elitaria e snob, si muove questa figura vanesia che non si è mai preoccupata di vedere oltre il suo naso e ora, che è costretto a farlo si muove incapace di capire cosa lo circonda.
Il risveglio forse arriverà ma fuori tempo massimo dopo aver lasciato sul campo qualche vittima di troppo.

“The Square” è un oggetto strano, sicuramente spiazzante, a volte anche angosciante, perché porta lo spettatore in direzione opposta a quello che immagina; è provocatorio, come in una lunga scena dove una performance artistica supera i limiti del buon senso, ma anche presuntuoso e fintamente “alto” come i personaggi che vorrebbe mettere alla berlina.
La modalità di rappresentare la differenza tra ceti è abbastanza scontata e abusata e ciò che vorrebbe apparire grottesco si trasforma spesso in farsa
La sensazione è di assistere a un operazione troppo studiata a tavolino, fredda e a tratti noiosa come quando ti trovi davanti a una di quelle opere d’arte che ti appaiono distanti, lontane, inaccessibili.

Alberto Guizzardi

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