Metaforicamente parlando

Da quando si è iniziato a parlare di reti sociali on line, da quando si è cominciata a percepire la loro importanza, c’è un metodo che si è imposto per spiegare il loro funzionamento, soprattutto alle aziende.

Mi riferisco alla metafora.
Da anni le presentazioni degli abili (e dei cloni meno abili) esperti di social network ci raccontano come approcciarli e come abitarli, evitando di combinare guai.
Tra video e slide si sono viste parabole geniali e paragoni banali sempre con un unico obbiettivo: raccontare a chi volesse comprendere ed “utilizzare” questi ambienti oltre la sfera del personale.
Si perché generalmente chi lo usa a livello personale lo fa in modo abbastanza istintivo e lo adatta al proprio vissuto (la principale ovvietà maggiormente incompresa).

Già, la metafora.
Le metafore che abbiamo visto sono sempre paralleli con momenti del nostro quotidiano, della nostra vita, delle nostre attività.
E non potrebbe essere altrimenti: tutto ciò che si muove, e come si muove, nelle reti sociali on line non è ne più e ne meno che una trasposizione delle nostre attività quotidiane in un ambito che si aggiunge al nostro, una socialità allargata con dei superpoteri.
Ma le aziende hanno sempre parlato con i “clienti” e non con le persone: verso i clienti hanno sempre veicolato codici di comunicazione precotti e pronti all’uso.
Verso le persone queste formule magiche non funzionano, l’incantesimo non accade, le persone non si trasformano in clienti.

E allora flotte di esperti a spiegare, con gli esempi più disparati, che cosa fare e soprattutto che cosa non fare.
Al punto che ormai queste metafore sono diventate una noia mortale e non si capisce come persone di cultura medio alta non riescano a svincolarsi dagli schemi iniziando a vedere ciò che c’è fuori dell’azienda come una parte di essa (e viceversa).

Poi ogni tanto viene fuori una metafora sugli ambienti social on line che mi fa ricredere (riguardo la noia)  per quanto è equilibrata e piacevole.
Poi arrivano certe richieste che ti fanno capire che, volenti o nolenti, queste metafore servono ancora molto.
“Iniziamo a fare qualcosa perché gli altri lo fanno”, “Io non ci capisco nulla e non ho tempo”, “Mi interessa avere più fan possibili per farmi conoscere sui social network.”
Certe “perle” non riescono ad evitarvi l’ennesima metafora sui social network, per cui se ne siete saturi fermatevi qua! :-)

Per andare più veloci non è necessario andare in Formula 1.
Se non si è mai guidata un’auto di Formula 1 è molto probabile che si riescano a fare parecchi danni.
Certo si può utilizzare un pilota che lo faccia per noi, in quel caso è bene fare in modo che ci somigli molto perché gli altri sono già abili piloti e, in fase di sorpasso (che è certo, e sarà anche più di uno all’inizio), possono facilmente riconoscere chi guida.
Un valido pilota sostitutivo deve essere bravo e in genere non lo fa (solo) per passione.
Parlare dell’ebrezza della guida, senza aver mai provato almeno per qualche giro un’auto di Formula 1, espone alla possibilità di parecchi errori ed in genere non si fanno delle belle figure.

Direi che mi fermo qui perché mi sono già abbastanza annoiato da solo… :-)

Andrea Ferrato