Linkin’ the Millennials | Stefano Guerrini

Ho raccontato più volte come la mia passione per la moda nasca da lontano e sia cresciuta, diventando anche cultura personale, grazie ai link, in un’epoca dove i link non esistevano.
Mi piaceva Madonna e leggevo che si era esibita alla festa di compleanno dell’amico Keith Haring? Dovevo scoprire chi era costui.
Leggevo che i miei amati Duran Duran a New York avevano cenato con Warhol? Ma chi sarà mai questo signore!?
E così di passaggio in passaggio, spinto dalla sola curiosità, ho forgiato, in maniera del tutto atipica, ne sono consapevole, la persona che sono, con i suoi tanti amori.

Sarà perché sono cresciuto in un’epoca pre-internet in cui il link non era così facile, perché non era alla portata di un click, che ora spesso mi trovo stupito davanti a chi, pur essendo facilitato grazie al web, nello scoprire le cose, proprio non è interessato.
Non voglio sembrare il solito ‘vecchietto’ che guarda le nuove generazioni e ricorda i bei vecchi tempi, anche perché i bei vecchi tempi erano pieni di problemi esattamente come questi, e io non son poi vecchietto, perché come è ben noto non ho un giorno più di 29 anni, come dice sempre Francesca Cacace ne “La Tata”.

Da qualche parte ho letto: “The generation that has the greatest access to knowledge in the history of mankind is the one that cares the least about it.”

Ripenso a quella volta in cui, davanti ad un gruppo di studenti per spiegare una collezione facendo una battuta citai Laura Palmer avvolta in plastica trasparente e compresi dalle facce non solo che nessuno sapeva chi era Laura Palmer, ma anche che cosa fosse stato e avese significato per una generazione un fenomeno come “Twin Peaks”.
Oppure a quella volta che per far capire chi era la supermodel Helena Christensen, citai il video di “Wicked Games” di Chris Isaak, comprendendo con sgomento che il clip vincitore anche di un MTV Video Awards non era fissato minimamente nei neuroni di chi mi stava ascoltando e, cosa molto più triste, che il nome di Herb Ritts, fotografo incredibile che ha segnato il mio amore per la moda, che di quel video era il regista, era totalmente nuovo alle loro orecchie.

Tutto questo mi è tornato in mente di recente durante un viaggio su un bus navetta, messo a disposizione dalla Camera Nazionale della Moda per spostarsi fra una sfilata e l’altra.
Ci stavamo muovendo fra il penultimo fashion show appena terminato e l’ultimo della giornata. Con me un paio di colleghi e quattro ragazze che da lì a poco si sono rivelate come blogger, categoria che non voglio criticare, lasciando le polemiche di questi giorni (nate da un articolo su Vogue.com)  ad altri, considerando che io lavoro nel web e sono stato, e forse posso ancora essere considerato, un blogger.
La conversazione fra loro verteva su quante foto avessero pubblicato sui social durante la giornata, le percentuali di like in rapporto ai commenti ricevuti per foto e così via.
Io che ero uscito dalla sfilata con la voglia di parlare di tutte le citazioni che avevo colto, dell’ispirazione che andava chiaramente in una direzione, dell’evoluzione del marchio, dell’attore in prima fila, insomma della qualunque, sono raggelato davanti ai freddi numeri e al calcolo. Io che mi sono avvicinato alla moda perché meraviglioso linguaggio creativo, in cui confluiscono tanti linguaggi e tanti mondi, che ancora oggi si commuove se parte una certa musica in sottofondo ad una sfilata e che si esalta davanti a certi riferimenti, mi sono rattristato.
A loro dei link, dell’aspetto culturale, dei contenuti ho paura non gliene importasse granché.
Avrei voluto urlare: “Ma voi la ricordate Liz Hurley che indossa l’abito punk con le spille da balia di Gianni Versace alla prima di “Quattro matrimoni e un funerale” al fianco di Hugh Grant e sapete perché è una immagine importante?” Oppure: “Se vi dico The Trinity a voi suona qualcosa in testa?”…e potrei continuare per ore.

Per un attimo mi son sentito molto poco Millennials e un filo vecchio.
Perché mi piacerebbe che le nuove generazioni, in cui credo, se no non avrei fatto in questi anni il docente, sapessero superare, avvicinandosi al mondo della moda, il semplice aspetto glam o le implicazioni di facile marketing da social.

Una speranza viene da un ambito al di fuori da quello di cui sto parlando.
Se un gruppo di giovanissimi cineasti è riuscito a trasformare in un successo planetario una piccola serie televisiva, citando, elaborando e rivedendo in maniera del tutto personale, nuova e affascinante gli anni Ottanta, mi riferisco ai geni che hanno creato “Stranger Things”, allora posso sperare che qualcosa di simile, almeno nell’approccio, possa succedere anche fra le giovani leve del fashion system.
Io sono pronto per essere stupito.  

Stefano Guerrini

foto: Andrea Ferrato