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LA MODA DA STUDIARE E NON DA AMARE | CLAUDIA VANTI

Un mese sì e uno no, all’incirca, si rischia di trovarsi a parlare di sfilate, visti i timing e i calendari che si snodano tra pre-collezioni, haute couture, main collections e red carpet vari.

Pare brutto, e forse lo è, di questi tempi, lo ha detto anche Miuccia Prada, «Nel momento in cui qualcuno ha un problema di salute o c’è una guerra in corso, la moda non è sicuramente rilevante»

Forse, ma forse no, un po’ perché per fortuna non abbiamo – in media – un cervello mononeuronale e un po’ perché pure nella Parigi occupata dai nazisti chi poteva continuava a cucire pensando al dopo.
Ma effettivamente ci sta che l’argomento moda e affini interessi a meno persone, anzi a volte viene a noia pure a chi ci è coinvolto direttamente.

Questo a livello di conversazioni e curiosità quotidiane, perché al contrario i fashion studies e le analisi accademiche proliferano.
Corsi civetta acchiappa studenti?
Non solo, anche se di triennali sulla teoria della moda ce ne sono ormai decisamente troppe: moltə ricercatorə e docenti ci hanno investito anni di studio sulla scia di quanto si è fatto nelle Università anglosassoni a partire dagli anni ’90, aprendo l’analisi sociale e semiotica a settori della creatività ampi e non canonici.

Sono uscite decine (centinaia, a dire il vero) di testi di storici dell’arte e storici tout court, semiologi, sociologi e addirittura filosofi su ogni più recondito aspetto del mondo moda, molti validi, validissimi, nei quali la distanza dell’osservatore (cioè lo scrivente) dall’oggetto considerato è segno di un punto di vista inedito.
E però, sarà per il momento, sarà per la necessità di affermare comunque uno status intellettuale autorevole, a volte capita che l’accademicə di turno senta di bisogno di strapazzare un po’ il suo oggetto di analisi, prendendo in giro le “esagerazioni degli stilisti”, soprattutto se si parla di fronte a una platea che si vuole catturare con la battuta facile, con la frase ad effetto e di consenso immediato.


Nell’ultimo mese mi è capitato due volte, con una storica dell’arte peraltro molto seria e con un docente italiano alla Stanford University, due occasioni di incontro tematico con presentazione di libri in realtà infarcite di inesattezze clamorose, tipo che la Maison Dior abbia l’archivio in una stanzetta di tre metri per tre (OOOOHHHH e risate in sala), di riprovazione per alcuni dress code o stili, di considerazioni banali in totale contrasto con quanto scritto.
Insomma, due siparietti, più che due presentazioni.

Una reazione involontaria al numero eccessivo di studi e pubblicazioni a tema moda?
Probabile, ma anche probabile che la voglia di strappare un sorriso di approvazione o un applauso del pubblico sia una strada sicura per le contraddizioni.

CLAUDIA VANTI
Stilista eclettica, ha collaborato per anni con marchi del pret à porter italiano e internazionale come Ferré, Chanel, Hugo Boss.

Insegna Design del Prodotto moda, ha la passione del disegno e il sogno segreto di scrivere la sceneggiatura di una serie tv. Ovviamente sulla moda.

Altre parole | Claudia Vanti

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Quella sottile sensazione di inadeguatezza, di mancanza. La ricerca delle risposte e il piacere dimenticato delle domande. Accogliere la complessità è un passo verso la consapevolezza del contemporaneo. Non siamo esseri semplici, dobbiamo assorbire e rigenerare. Siamo sempre stati arte e oggi dobbiamo saper vivere con una sensibilità aumentata.

METABOX – sensibilità aumentata è un’installazione di arte contemporanea online, dal 2010

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