Kids and Ladies | Claudia Vanti

Poco tempo fa ho rivisto alcuni video degli anni ’80, i classici della post new wave che andava velocemente a stemperarsi in una melassa pop abbastanza banale ma che per un po’ ha retto il passo, con la complicità della famigerata IMMAGINE (fino ad allora).
Se l’immagine contasse più della musica, questa era l’essenza di un dibattito che imperversava quasi quanto quello sulle spalline sì o spalline no.
A proposito: le spalline sono di nuovo fra noi – dopo sporadici ritorni – e con una certa determinazione a restare.

I video dunque, e l’immagine.
La prima cosa che ho notato, a posteriori, è stata la differenza fra la rappresentazione degli uomini e quella delle donne: ragazzi truccati abbastanza pesantemente (a volte in modo approssimativo) e ragazze altrettanto truccate – era l’era del fard imperante – ma con un aspetto complessivamente più adulto.
In parte colpa di Lady D., che era un modello anche per gli inglesi apparentemente più trasgressivi.
La sua pettinatura ha imperversato per anni, e anche i suoi tubini, ma, insomma, in generale le ragazze dei videoclip – cantanti o comparse – si distinguevano per orli al ginocchio, power dressing, guanti e tacchi a spillo.

Nei video, soprattutto in quelli inglesi, c’era la versione cool della Working Girl, e forse in modo molto ingenuo c’era una nuova raffigurazione dei modelli maschili e femminili: colorati e vivaci i primi, autonome e self conscious le seconde.
Era tutta la moda anni ’80, del resto, a suggerire la prevalenza di un “modello adulto” per le donne, il tailleur, certo, ma anche l’attitudine delle modelle, sempre così distanti, sempre così di classe.

Dopo è cambiato qualcosa, vestiti come antidoto all’età a regalare un’immagine necessariamente giovane, modelle poco più che adolescenti, pretty girls o bad girls, ma comunque “girls”.

Però siccome i cicli si susseguono, e non solo nella moda, ora probabilmente ci si è stufate di essere di continuo delle ragazzine, anche Kate Moss ultimamente è decisamente più ladylike, e alla fine, se i vestiti se li comprano le donne, tanto ragazzine non possono essere, visto il reddito richiesto.
Se glieli comprano gli uomini il discorso può essere diverso, ma le economie emergenti che hanno fatto la fortuna di quel modello ora arrancano, e non si sa mai, meglio puntare su acquirenti autonome ed economicamente solide, le professioniste di successo di Céline ed ora anche di Loewe, per citarne solo due.

Intanto Maria Grazia Chiuri, dal difficile punto di osservazione del marchio dal DNA più tradizionalista di sempre ci ricorda che “We should be all feminists”, ma con un aspetto così dolce e soave da inquietare: dietro ai ricami e al tulle c’è una pretty girl che ha imparato qualcosa o si limita a giocare con gli slogan delle ragazze più grandi?

Claudia Vanti