Jean Paul Gaultier, chi è costui?
 | Claudia Vanti

Si fa presto a dire “siamo al revival degli anni ‘80” o – addirittura, addirittura, in uno slancio retrofuturistico – “sono tornati gli anni ’90!” (punto esclamativo trionfalistico per la ventata di novità).

Ma mentre inseguiamo i fantasmi dei decenni precedenti, a un ragazzo o a una ragazza nati intorno al 2000, questo che cosa può importare, esattamente? Niente, ovvio.
Una volta alla settimana ho l’occasione, fortunata, di interagire con degli studenti di design di 21 anni circa, per i quali gli anni ’90 sono:

  1. l’epoca mitologica nella quale i genitori non pensavano ancora minimamente alla loro nascita
  2. un gigantesco archivio di immagini, stili e musiche da processare, assimilare, scomporre, riassemblare e utilizzare liberamente senza alcun riguardo e giustamente, vivaddìo, lo hanno fatto tutti, prima di loro, e non con maggiore considerazione delle eredità.
    Per non parlare di appropriazioni ancora più antipatiche – le varie ispirazioni “etniche” – verso le quali la generazione Z è un filo più attenta.

L’unica cosa utile che posso comunicare a questi ventenni è che però vale la pena studiare e analizzare bene i decenni da cannibalizzare, perché questi studenti hanno, da un lato, la storia del costume, che si ferma ai decenni d’oro della couture, alla space age degli anni ’60 o ai viaggi in India dei ’70, e dall’altro l’oggi, lo streetwear ormai declinante e la frammentazione degli stili, ridotti a items da condividere online.

Manca tutto quello che sta in mezzo, come manca la storia recente dai programmi della scuola dell’obbligo.
E alla studentessa che mi propone linee in bilico fra artigianato sartoriale e vivace esibizione di una sessualità rivendicata ho chiesto “Conosci il lavoro di Jean Paul Gaultier?”
No, non lo conosceva, però poi mi ha detto “Wow!”
Wow, già

Claudia Vanti