In prigione, in prigione | Claudia Vanti

Io ve lo dico, car* magrolin* che fate sempre riferimento al vostro metabolismo più che perfetto e responsabile di quei pochi chili che indossate con estrema naturalezza, per voi si prospettano tempi durissimi.

Da un lato c’è l’ufficialità, l’ufficialità di un prossimo disegno di legge presentato dai “fratelli d’Italia” (la posizione delle sorelle non è pervenuta) che prevede di inserire nel codice penale il reato di istigazione all’anoressia.
Probabile bersaglio siti web, chat, blog e soi disant influencer che promuovono stili di vita poco sani, diete pericolose, medicinali di importazione acquistabili su internet e cose del genere.
Reato punibile fino a quattro anni di reclusione, quindi non propriamente uno scherzo, ma uno scherzo sembra invece la superficialità e la sottovalutazione che riducono a un reato facilmente identificabile (del resto l’introduzione di nuovi reati è un po’ una specialità della casa del nuovo esecutivo) un problema molto serio che tocca la sfera più personale e la storia non facile di chi purtroppo fronteggia un certo tipo di disagi alimentari.

Ma poi i medicinali pericolosi va bene, le diete scriteriate ok, e però per esempio che si fa con Anthony Vaccarello, il direttore artistico di Saint Laurent che alle ultime sfilate ha buttato alle ortiche allegramente tutti i discorsi di body inclusivity e ha mandato in passerella modelle magrissime nella più pura tradizione anni ’90, magrissime perché le linee dei capi allungati e lineari così risaltano al meglio, anche se poi sono promosse e indossate da celebrities con taglie piuttosto varie.
Quindi che ne faremo di Vaccarello?
Rischierà anche lui quattro anni o siccome residente a Parigi non corre rischi?
Oppure proibiremo per esempio la commercializzazione dei prodotti Saint Laurent in Italia trascurando il piccolo dettaglio che sono prodotti proprio in Italia?

In linea con il ridicolo che permea tutta questa situazione c’è in più la proposta di istituire l’immancabile giornata contro i disturbi alimentari, il 15 marzo (una giornata di sporadico interesse non si nega a nessuno), segnalata da un fiocchetto lilla (ma il lilla non era il colore dei confetti per le nozze LGBTQI+? Problemi con i colori?).
Non finisce qua: oltre all’istituzionalità ci sono bene intenzionat* che hanno a cuore la diversità e l’inclusività, salvo poi fare passare come inclusivo o come buono e giusto soltanto il modello che hanno in testa, il proprio unico modello di riferimento.
Gli altri modelli no, sono frutto di brutti pensieri o di pensieri deboli e facilmente vittima degli stereotipi, perché per il depositario della verità gli/le altr* sono un po’ poco intelligenti, povere stelle.

Poco tempo fa mi è capitato di discutere via social con una psicologa piuttosto nota perché secondo lei le “seccardine” non si sanno divertire (luoghi comuni ne abbiamo quasi quanto i nuovi reati istituiti dal governo attuale).
Che “seccardina” sia un termine esattamente inclusivo e di buon gusto non mi pare, direi piuttosto sprezzante e irridente, e comunque a me non verrebbe mai in mente di attribuire a una persona, che so, un termine come “grassocchia” per esempio, pensando di essere che, divertente?

Il punto è che social o non social – anche nella vita quotidiana non siamo molto meglio – siamo tutti un po’ più bulli, e il momento in cui si prova a fare un passo avanti verso una condizione di maggiore libertà individuale per sentirsi bene come si è, senza grossi problemi, diventa un’occasione per prendersela con qualcun altro, per stigmatizzare o mettere in luce negativa chi in qualche modo la pensa diversamente.
Pure con l’alibi delle buone intenzioni. Tempi brutti per tutti.

Claudia Vanti