Il problema di essere più complessi di un software

Usiamo software in continuazione e nella maggioranza dei casi non ce ne accorgiamo.
Ci risolvono in modo puntuale e preciso una marea di complicazioni e sbagliano raramente.
I problemi arrivano nel momento in cui si passa dalla eliminazione di una complicazione alla agevolazione di un comportamento.

Nelle nostre giornate  svolgiamo una serie di azioni per le quali abbiamo maturato nel tempo una nostra modalità, effettuiamo determinate scelte sulla base di una serie di esperienze che ci hanno insegnato a raggiungere un buon risultato, ci rapportiamo verso le persone con cui entriamo in contatto (a qualsiasi livello) in base al nostro carattere e al nostro modo di essere.

Ecco, qui arrivano i problemi.

La rete ci ha restituito una possibilità di relazionarci insita nelle nostre qualità “animali”; addirittura ce l’ha amplificata dato che per certi versi il luogo non è più un limite e questo, il limite, torna ad essere legato alla nostra volontà e/o capacità di relazionarci.

Abbiamo adottato il primo software che ci è stato proposto per cercare di fare in rete un po’ di cose come quelle che siamo soliti fare nelle relazioni off line.
Lo abbiamo adottato perché era semplice, non ci faceva pensare troppo. Anzi, ci faceva pensare così poco che abbiamo iniziato anche a fare cose che forse nella nostra vita off line non avremmo mai fatto.

Ogni tanto vengono fuori delle cose simili che magari ci solleticano la curiosità ma poi, in fondo, a meno che che non siamo degli addetti ai lavori, perché dovremmo replicare delle azioni con un altro software solo perché fa delle cose leggermente meglio dell’altro? E quindi generalmente ci dimentichiamo della novità e non perché non ci piacesse ma unicamente perché le nostre qualità “animali” ci impediscono di adattare troppo delle cose per noi naturali alle esigenze di un software.

E ci sono alcuni segnali che anche il primo software che abbiamo adottato comincia a starci un po’ stretto.
Nulla di strano: come si diceva all’inizio siamo un po’ troppo complessi per poterci accontentare di una mole di codice che prova a sostituirsi alle nostre abitudini comportamentali.

Probabilmente abbiamo bisogno che il software continui a pensare di risolverci problematiche “ordinarie”, faccia parlare le cose che usiamo tra loro ed eventualmente faccia raccontare alle cose ciò che ci lega a loro e che abbiamo deciso di rendere pubblico (se vuoi sapere i miei gusti alimentari non sarebbe più interessante se te li racconta il mio frigorifero sulla base di ciò che ci metto dentro?).

Credo che abbiamo bisogno di uno “strato” che ci permetta di coltivare le nostre relazioni espanse, qualcosa di universalmente riconosciuto e condiviso.
Uno “strato” di informazione e di conoscenza che contribuiamo ad evolvere, che utilizziamo indipendentemente dal device, che assomigli molto di più all’idea di una telefonata piuttosto che a Word.

Andrea Ferrato