Effetti collaterali | Alberto Guizzardi

Le giornate passano una simile all’altra, chi può va al lavoro, chi può lo fa in smart working, una spesa al supermercato e poi ci si chiude in casa.
Il tempo è diventato un contenitore da riempire in maniera diversa rispetto ai propri gusti.
Nel mio quotidiano sono apparsi due mezzi di comunicazione completamente agli antipodi: il mangianastri e Netflix.
Il primo è ciò che di più old-fashion si possa immaginare anche se meno romantico del già vintage giradischi, anch’esso rientrato da qualche anno nella mia vita.

Se la memoria involontaria può scattare dopo aver sentito il tintinnio di un cucchiaino su un piattino (Proust docet), figurarsi risentire vecchie canzoni su un supporto simile a quello che utilizzavo fino alla soglia degli anni 2000.
Tutto ciò mi riporta alle canzoni che ballavo da solo nella mia camera di adolescente, a quella legata al mio primo amore, a quelle ascoltate in macchina quando si andava a fare le scorribande notturne il sabato sera a Rimini, a quelle ascoltate con chi non c’è più.
Le cassette le sentivi ovunque, te le portavi con te ascoltandole col walkman, qualche volta si incastravano nel supporto, qualche volta dovevi riavvolgere il nastro con una Bic e sperare che non si fosse rovinato.
Le ascoltavo anche in autobus quando il sabato pomeriggio andavo a rinchiudermi in qualche sala cinematografica dall’altra parte della città per vedere una scemenza con Tomas Milian o i primi “film d’autore”.

Ho la sensazione che anche “andare al cinema” sia un termine che faccia molto old-fashion e questa idea si è rafforzata da quando anche io mi sono abbonato a Netflix.
Sono stato sempre molto prevenuto rispetto a questa piattaforma, probabilmente perché la sentivo come un fuoco amico rispetto a ciò che amo di più.
Con tutti questi contenuti vedibili a 10 euro al mese chi avrà più voglia di vestirsi, prendere una macchina, cercare parcheggio e spendere la stessa cifra per vedere solo un film?

David Foster Wallace nel suo distopico libro “Infinte Jest” aveva già immaginato un futuro dove la fruizione del mezzo audiovisivo sarebbe stata molto simile a quella a cui ci stiamo avvicinando.
In quel caso un videotape che girava per vie illegali portava al collasso cerebrale trasformando l’uomo in un vegetale.
È onere e onore di un artista usare un escamotage narrativo per mettere in guardia su future derive sociali e certo non bisogna prenderlo alla lettera.
La visione di contenuti con un totale libero accesso a un prezzo alla portata di tutti da una sensazione di una raggiunta democrazia mediatica.
Ma siamo sicuri che tutta questa libertà di scelta non sia alla fine una più sottile e meno evidente perdita di libertà personale?

Alberto Guizzardi