Dress Code per eroi

“E quale può essere l’immagine degli eroi dei nostri tempi?”

Così sta scritto in un pannello che introduce a un’expo di tessuti giapponesi contemporanei.
Una frase un po’ ad effetto come lo sono spesso quelle che dovrebbero spiegare i futuri trends (parola che ormai dà quasi fastidio pronunciare) e che spesso non spiegano nulla, ma suggeriscono soltanto l’idea che un contenuto ci sia ed è colpa di chi legge se non lo si coglie.

Ma a un certo punto compaiono gli eroi, o “eroi”… E che ci fanno qua? Chi sono? Se si vuole uscire dalla retorica di “eroi del mito”vs. “eroi del quotidiano”- “eroi per caso” vs. “eroi per vocazione”.
Secondo me si parla in fondo di individualità, che costruirsela, e mantenerla, può essere un’impresa titanica.
E questa individualità bisognerà pure vestirla, mica la si può lasciare così, sprovveduta e in balìa di disdicevoli mode passeggere.

“What defines pretty? I’m fine with flowers and music being pretty, but, when applied to women, I find it sounds demeaning. I think women should be empowered by fashion imagery” (Nick Knight).

Chiaro, no? “Carino” va bene per i fiori e la musica (e qua non sono d’accordo con Mr. Knight ma secondo me lo ha detto senza riflettere), ma se si tratta di donne il termine è riduttivo, anzi: umiliante.
Anche per gli uomini, aggiungerei. Meglio qualcosa che ne accresca il potere, in molti sensi.

Il dubbio è questo: per l’eroe è meglio un’unica immagine a lungo studiata da ripetere ostinatamente come tratto distintivo o è meglio cambiare e cambiarsi secondo la propria ispirazione del momento? Quale delle due opzioni è più utile nella pratica del nostro personale eroismo quotidiano? E quale delle due ci conferisce quel minimo potere in più necessario a…
Preferisco la seconda opzione, ho dei dubbi che contribuisca a creare uno status ma la versatilità aiuta, sempre.

E poi allora perché non direttamente “supereroi” con i superpoteri?
Qualche vestito utile per un viaggio in una diversa dimensione spazio-temporale o in un viaggio al di fuori del solito “noi stessi”. Magari.
Ma è quello che è venuto in mente anche a una ragazza che ha appena debuttato sulle passerelle di Londra:
“My clothing isn’t limited by sex or gender, it’s purely about people” (Marta Jakubowski).

Claudia Vanti