48 ‘O muorto che pparla | Claudia Vanti

Ormai scrivere di moda, di questi tempi, sembra diventato un esercizio tipo “Il morto del giorno”.

Il 2022 non è cominciato benissimo, e dopo lo choc di fine anno con la scomparsa prematura e improvvisa di Virgil Abloh, a gennaio se ne sono andati in rapida successione un editor leggendario di Vogue America, André Leon Talley, e uno stilista ancora più leggendario, Thierry Mugler.

Oltre alla tristezza e alla malinconia che si accompagna sempre a queste occasioni c’è il tempo e il modo di ripescare foto, immagini “iconiche” (N.B. io sto per indire un referendum autogestito per eliminare la parola “iconico” dal vocabolario, giuro), memorabilia varie – disponibili anche prima della dipartita, volendo – che sollecitano gli inevitabili confronti con il nostro miserabile sfacelo creativo attuale.

Perché si stava sempre meglio prima, e ci vestiva meglio, anche.
Sì, ma prima quando? Prima, prima.
Gli anni ’80 di Talley e Mugler? Adesso è facile parlare bene degli anni ’80, la musica poi non ce la toglieremo di mezzo mai, ma a dire il vero non sono stati sempre simpaticissimi a tutti: Reagan, Thatcher, la guerra fredda, gli yuppies, qualche grossa crisi… insomma, tutti quei colori sgargianti e quelle spalline poi, quando è venuto di moda il low profile non piacevano molto.
E quando anche il low profile è passato di moda che è rimasto?

Quello che è sicuro è che oggi c’è di tutto ed è tutto molto mescolato, gli input arrivano letteralmente da tutte le parti del mondo e a raffica, a getto continuo, ma ci piace il giusto, cioè poco.
L’addettə ai lavori che si rispetti preferisce il prima: forse perché così ci si disimpegna elegantemente dalla fatica di interpretare un oggi quanto mai complicato?

Claudia Vanti